"Allo stato attuale è impossibile richiamare in vita un organismo complesso come l'essere umano", spiega il professore emerito di medicina legale

Dopo che i giudici britannici hanno autorizzato una 14enne malata di un raro tumore a farsi crioconservare dopo la morte, si torna a parlare della tecnica che permette di "congelare" i corpi nella speranza di poterli un giorno riportare in vita. Una procedura su cui Pierluigi Baima Bollone, professore emerito di medicina legale all'Università di Torino, è pragmatico ma fermo: "La speranza è l'ultima a morire", dice, ma parliamo di qualcosa su cui "essere estremamente scettici".

Come funziona la crioconservazione?
Le tecniche per congelare un cadavere sono diverse, ma quasi tutte puntano ad abbassare la temperatura in modo così rapido da mantenere le cellule in condizioni vitali. Si sa che prima muore l'organismo, poi muoiono gli organi, i tessuti e poi le cellule, quindi lo scopo è crioconservare il numero maggiore questi ultimi in condizioni ottimali.

In questo caso, la ragazzina era malata e ha detto di sperare di "vivere più a lungo", dopo il risveglio.
È uno dei tanti casi in cui si provvede al congelamento del corpo a bassissima temperatura nella speranza che sia possibile mantenere indenni tessuti e cellule per richiamare in vita il soggetto in un futuro in cui si conosceranno terapie per la malattia. Dal punto di vista tecnico, non si può che essere estremamente scettici.

Le cellule non invecchiano, per poter sperare una cosa del genere?
Le cellule sono ancora in vita al momento della morte, quindi se le tecnologie vengono applicate adeguatamente, esse sono conservate ottimamente e per un tempo pressoché indefinito. Esistono gli embrioni crioconservati, le cellule crioconservate, c'è una base scientifica e ogni giorno abbiamo prova di tecniche della massima affidabilità. Ma su un organismo adulto e complesso la questione è più difficile.

La crioconservazione è una speranza reale?
Sono estremamente scettico e non la consiglierei a nessuno. Mi dispiace, perché il medico dovrebbe sempre dare speranza, ma mi pare che si tratti di attività temerarie. Allo stato attuale delle conoscenze è impossibile richiamare in vita un organismo complesso come lo è un essere umano.

Dal punto di vista umano capisce la speranza dei malati?
Certo. Oggi vengono curate persone che un tempo non non erano curabili, la medicina continua a progredire. La speranza dei malati è assai comprensibile, così come lo è quella dei parenti superstiti.

Ha elle preoccupazioni etiche in proposito?
No. La speranza è l'ultima a morire, si dice. Quando non si può garantire la guarigione del malato, ci si dedica alla cura delle apprensioni dei parenti sopravvissuti.

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