Quasi cinque anni dopo, la storia si potrebbe ripetere. Il 12 e 13 giugno 2011 i cittadini italiani furono chiamati alle urne per quattro referendum abrogativi, in maniera simile a quanto accadrà per le trivelle il 17 aprile prossimo. Ci sono diversi parallelismi con la situazione attuale.
LE DOMANDE. I quesiti di cinque anni fa vertevano su tre argomenti: la privatizzazione della gestione dei servizi idrici (domande n. 1 e 2), l'utilizzo dell'energia nucleare e il legittimo impedimento. Stavolta il quesito è uno solo, peraltro molto limitato: chiede di abrogare la norma per cui i pozzi di estrazione già autorizzati, entro 12 miglia dalla costa, possono essere sfruttati dalle compagnie fino ad esaurimento del giacimento, cioé senza alcun limite temporale.
LA CALENDARIZZAZIONE. I referendum di cinque anni fa dovevano essere calendarizzati, secondo legge, tra il 15 aprile e il 15 giugno 2011.
Alla fine vennero fissati per il 12 e 13 giugno. Era stato proposto l'accorpamento al primo turno delle elezioni amministrative, il 15-16 maggio, o al limite al turno di ballottaggio, il 29-30 maggio. Però l'allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, decise per la divisione delle due consultazioni, dichiarando che "il referendum si svolgerà il 12 e 13 giugno secondo una tradizione italiana che ha sempre distinto le due date". Il Partito democratico e l'Italia dei Valori reagirono attaccando il Viminale e parlando di uno spreco di 300 milioni, argomento che viene usato anche in questi giorni.
IL DIBATTITO SULL'ASTENSIONE. Oggi come cinque anni fa, suscita polemica l'invito a non andare a votare. Nel 2011 Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, disse in conferenza stampa che non sarebbe andato a votare. "E' diritto dei cittadini decidere se votare o meno per il referendum", affermò. Pierluigi Bersani, allora leader del Pd, replicò immediatamente: "Se non va a votare lui, ci andranno gli italiani". Arrivò anche una stoccata da Gianfranco Fini, allora presidente della Camera: "Credo che sia importante andare a votare, perché depotenziare l'istituto referendario facendo leva sul mancato raggiungimento del quorum sarà anche legittimo, ma politicamente sbagliato".
IL QUORUM. Per avere validità, al referendum abrogativo deve partecipare un certo numero di persone: si tratta del quorum, equivalente alla metà più uno degli aventi diritto al voto. Qualche giorno fa il ministero dell'Interno ha reso noto che il corpo elettorale consiste di 50.786.340 persone: affinché il referendum del 17 sia valido, dovranno votare almeno 25 milioni e 400mila elettori circa. Nel 2011 i numeri erano simili. Il quorum venne superato, con oltre 27 milioni di schede nelle urne. La maggioranza dei voti era per l'abrogazione delle norme: fu una sconfitta per Silvio Berlusconi.