Strage di Parigi, Migrantes: No allo scontro fra la sicurezza e l’accoglienza

di Maria Elena Ribezzo

Città del Vaticano, 16 nov. (LaPresse) – I massacri che venerdì hanno colpito l’Europa al cuore hanno fatto elevare i livelli di sicurezza in tutte le grandi città e la possibilità che provochino una stretta sugli ingressi dei migranti sono concrete. Però bisogna fare attenzione: “Il tema della sicurezza è un tema. Il tema dell’accoglienza e del diritto d’asilo è un altro e non si scontrano tra loro”.

A dirlo a LaPresse è monsignor Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes, organismo pastorale della Cei. “La sicurezza – sostiene – può avvenire e si deve portare avanti, purché non leda un diritto fondamentale che è quello alla richiesta di una protezione internazionale delle persone che stanno fuggendo da 33 guerre in atto nel mondo, da disastri ambientali e da persecuzioni politiche e religiose. Sicurezza e accoglienza non sono in contrapposizione tra loro e possono benissimo andare di pari passo”.

Il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, ieri ha parlato di un attacco alla politica francese, che ‘vieta il velo’ e ‘promuove la pornografia pubblica’. Quella di venerdì è stata un’offensiva specificatamente diretta alla Francia?

“E’ fuori dubbio che le affermazioni del cardinale Vingt-Trois vadano collocate in riferimento alla situazione del massacro. Però la posizione della Francia, per quanto riguarda le guerre in atto in Medio Oriente e in Siria in particolare ma anche nel contesto africano, è assolutamente diversa rispetto a quella dell’Italia: è molto più direttamente esposta. La situazione è diversa anche per il passato, che resta un retroterra in cui leggere i fatti di questi giorni. Un passato che l’ha vista una grande potenza coloniale, che nel ’16/’17, insieme alla Gran Bretagna, ha suddiviso l’Impero Ottomano che veniva vinto nella Prima Guerra Mondiale.

E’ una potenza che ha vissuto la drammatica contrapposizione all’interno di un Paese come l’Algeria. E’ chiaro che la storia coloniale della Francia sia diversa e la esponga immediatamente a una reazione da parte di un mondo terroristico che viene da questi Paesi. Questo non significa che non sia in pericolo anche la democrazia di altri Stati nel contesto europeo, ma ci sono ragioni diverse che potrebbero portare a colpire Paesi diversi”.

Si parla di scontro di civiltà. Lei è d’accordo con questa definizione del conflitto?

No, assolutamente. chi vuol far credere che siamo a uno scontro di civiltà alimenta l’odio e non sta aiutando a superare la situazione difficile nella quale siamo, spingendo ad alimentare guerre che provocano stragi inutili. Le guerre che oggi sono in atto sono degli scandali. Il 90% delle morti sono civili, e innescano meccanismi di odio dentro i quali occorre leggere anche i fatti di Parigi. Bisogna essere attenti ai segnali che ci vengono dagli attentatori della Francia: attenti alle nostre periferie, a progetti di inclusione sociale.Perché i giovani che hanno attaccato e ucciso sono di seconda generazione, francesi, belgi, che vivono nelle banlieues. Da questo punto di vista è in gioco un modello di inclusione che corrisponde a quello che il Papa ha esposto a Prato (nella sua visita il 10 novembre scorso, ndr): la cultura dell’incontro richiede rispetto, accoglienza, inclusione, integrazione. Queste quattro parole possono davvero costruire il futuro delle nostre città.

Ci sono quindi ragioni economiche e politiche che esulano dalle stragi di Parigi per i bombardamenti francesi in Siria?

Sì. Se non leggessimo dietro questa situazione di guerra degli interessi economici saremmo miopi. E’ fuori dubbio che il controllo di questi Paesi è nato per ragioni economiche o politiche. E’ per questo che occorrerebbe rileggere queste ragioni che possono minare la situazione di pace. Ci sono motivi di controllo delle risorse di gas e petrolio che sono importanti, ma non sottovalutiamo le questioni politiche, che hanno visto da sempre Francia e Inghilterra dividersi questi territori.

Dato il livello d’allerta a Roma, sarebbe il caso di spostare o addirittura annullare il Giubileo che si apre l’8 dicembre?

Ogni capitale europea ha bisogno di essere rafforzata sul piano della sicurezza e mi pare che il nostro Paese stia andando in questa direzione.Questo non significa che non si debba continuare un programma pastorale che prevede il Giubileo della Misericordia, grande occasione di dialogo interreligioso, soprattutto con il mondo islamico ed ebraico. E’ un invito forte alla pace, che è proprio quello di cui abbiamo bisogno in questo momento.

Questo dialogo con il mondo islamico attraverso il Giubileo è davvero possibile in questo momento?

Non solo è possibile, ma è quello che avviene da diversi anni in molte città d’Italia. Qualche giorno fa l’Imam di Firenze ha portato il suo saluto al convegno ecclesiale nazionale. E’ un percorso che va rafforzato, perché le ragioni per cui il mondo cattolico oggi chiede la pace sono le stesse ragioni per cui la chiedono il mondo ebraico e il mondo islamico. Il Giubileo sarà una grande occasione per continuare questo dialogo, che è in atto sin dagli anni ’80, quando Giovanni Paolo II iniziò gli incontri di Assisi con al centro il tema della pace. Allora la chiedevamo per la Bosnia Erzegovina, oggi la chiediamo soprattutto per il Medio Oriente.