Roma, 5 ago. (LaPresse) – Quella di oggi può essere letta da molte famiglie italiane come una giornata storica. In mattinata la commissione Igiene e Sanità del Senato ha approvato in sede deliberante la prima legge nazionale sull’autismo. Principale innovazione portata dalla norma è l’inserimento della patologia nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea). La novità non è da poco. Significa infatti che d’ora in poi in tutto il Paese l’autismo sarà presente nell’elenco dei trattamenti sanitari, gratuitamente o in compartecipazione. Fino ad oggi, infatti, l’accesso alle cure era in base alle risorse disponibili e alle decisioni assunte nei piani regionali. Con il provvedimento inoltre vengono aggiornate le linee guida, utili per indicare la strada ai clinici su prevenzione e diagnosi, ora rese omogenee. Si calcola che la patologia neuro-psichiatrica unita ad altri disturbi dello spettro autistico incidano solo per lo 0,5 % della popolazione. “Non essendo un disturbo molto frequente – spiega a LaPresse la dottoressa Roberta Penge, ricercatore di Neuropsichiatria infantile del Policlinico Umberto I di Roma – fino ad oggi l’autismo è stato trattato a seconda delle risorse disponibili nelle strutture e non in base alla specifica necessità. La legge approvata oggi segna sicuramente un passo importante anche sul piano della ricerca perchè impegna il ministero della salute a implementare i progetti. Ciò che va evitato però – sottolinea – è la moltiplicazione delle leggi per singole patologie.
Sarebbe meglio a mio parere – suggerisce l’esperta – fare una legge generale sui disturbi dello sviluppo”. Diversi sono i meccanismi che causano l’autismo, così come sono vari sono i trattamenti che via via nel tempo hanno dimostrato maggiore o minore efficacia. Si va dal comportamentale ai modelli più interattivi. “Alcuni trattamenti – ricorda la dottoressa del Policlinico – sono stati riconosciuti inefficaci, come le diete a basso contenuto di ferro”. Oggi la criticità maggiore sentita dalle famiglie è l’essere lasciati soli, senza un accompagnamento nella interazione con il figlio. “Se fino all’età di 5 anni – afferma Penge – le strutture sono abbastanza attente, dopo questa età le famiglie tendono ad essere isolate.
Una difficoltà ulteriore sono poi i tempi per accedere ai trattamenti. Basti pensare che a Roma i tempi di attesa per riabilitazione sono di un anno e mezzo”. A testimoniare la quotidianità di genitore è la presidente dell’associazione romana “Amici di Via dei Sabelli”, Simona Lotito. Sua figlia ha 5 anni e “durante l’ultimo anno – racconta – ha compiuto dei miglioramenti importanti grazie alle persone che ha incontrato”. Molto infatti dipende dagli operatori. A cominciare dall’annuncio della diagnosi. “Nel mio caso – ricorda – fu brutale. Sono infatti curiosa di sapere cosa la legge intenderà fare sul piano dell’inserimento sociale dei soggetti affetti da autismo – chiede Lotito – visto che comunicazione e integrazione delel famiglie oggi lasciano molto a desiderare”.
Quanto all’assistenza ricevuta, la presidente dell’associazione non ha dubbi: “I centri pubblici sono carenti – sostiene -, quelli convenzionati a volte. Ma dipende sempre dalle persone impegnate. La scuola poi è un altro punto dolente perché il rischio che i bambini siano ghettizzati è alto. Addirittura fino a due anni fa, mia figlia veniva messa in un passeggino con il ciuccio in bocca.
Infine ci sono i centri estivi. I bambini con questo tipo di disturbo non dovrebbero secondo me e andare nelle strutture per disabili ma in quelle ad hoc dove fare varie attività”. Di una cosa la mamma-presidente è convinta: “Il bambino va sempre messo al centro di un percorso individuale basato sulle sue specificità“. Obiettivo difficile ancor più se si pensa che la legge varata oggi non stanzia fondi. Il rischio quindi è che il testo normativo segni sì un passo decisivo per l’inserimento dei Lea ma poco sostegno per implementare i servizi regionali.