Dal nostro inviato Fabio De Ponte
Tokyo (Giappone), 2 ago (LaPresse) – La Abenomics funziona e il Giappone corre come un treno. E’ il parere che si raccoglie tra gli imprenditori italiani che lavorano nel Paese asiatico e che hanno incontrato stasera presso l’ambasciata italiana a Tokyo il premier Matteo Renzi.
Flavio Gori, 22 anni passati tra Osaka e Tokyo, responsabile della divisione locale della Savino Del Bene, terzo spedizioniere aereo Italia-Giappone, dice che l’export dall’Italia verso il Sol levante va a gonfie vele. “Noi siamo – spiega – il termometro del business. Spediamo tutto: mobili, macchine, alimentari. E vi dico che le importazioni vanno bene”. A giudicare dai dati dell’Istituto del commercio estero non si direbbe. Per l’Italia sono diminuite le esportazioni (da 6 miliardi a 5,3), anche se il saldo è rimasto attivo, con oltre 2,6 miliardi.
Ma questo calo, spiega, è dovuto alla svalutazione dello yen voluta da Shizo Abe. Due anni fa l’euro viaggiava intorno ai 100 yen, oggi per la stessa moneta ce ne vogliono quasi 140. Il che ha costretto i produttori a comprimere i prezzi per tenersi i clienti e, a parità di volumi, ha comportato valori più bassi.
La svalutazione poi ha permesso alle imprese che esportano di aumentare i profitti: “La Mitsubishi per esempio”, spiega Vittorio Falconeri, della Brevini, azienda che si occupa di componenti per la trasmissione di potenza (riduttori e ruote dentate per l’industria pesante), ha realizzato “profitti stellari”. “Per forza – spiega -: metà delle loro vendite sono all’estero, una svalutazione del 30% signica automaticamente un maggiore incasso del 30%”. Anche lui è in Giappone da oltre vent’anni. “Qui le cose vanno molto bene – racconta -. La disoccupazione è al 3 per cento. Mia figlia ha ricevuto diverse offerte di lavoro prima ancora di laurearsi”.
All’origine del successo giapponese c’è anche “l’atteggiamento” giusto, direbbe il premier Matteo Renzi: “Questa è una città da milioni di abitanti – spiega Gori, che è anche presidente del Fiorentina funclub giapponese e della Misericordia di Osaka – ma la gente parla come se fosse un paesino. Se ti comporti male hai finito di lavorare ma se sei corretto ti si aprono tutte le porte. Ci vuole tempo per inserirsi ma se uno si comporta bene si può avere successo”.
L’export italiano verso il Giappone, chiarisce Aristide Martellini, dell’ufficio della promozione del commercio dell’ambasciata, l’avamposto dell’Ice, è crollato per il farmaceutico, che da solo rappresentava il 24% del totale, ma va bene per altri settori, come quello delle macchine elettriche, in stabile crescita. “Bisogna disaggregare i dati per capire”, sottolinea. La domanda c’è, dice, perché l’economia corre. Anche l’alimentare regge, pur incalzato sempre più dalla concorrenza di Spagna, Portogallo e Paesi sudamericani, soprattutto su olio e vino.
Ma allora il fatto che in dieci anni il Giappone abbia perso consistemente quote di mercato nel mondo passando dal 5,7% del 2005 al 3,6% del 2014? E il calo del Pil dello 0,1% nel 2014? E il debito pubblico abbondantemente e stabilmente sopra il 200%? “Sono domande giuste – risponde sorridendo – ma fatte da una prospettiva esterna al Giappone. Sa – dice – quanto hanno investito i giapponesi in investimenti diretti esteri negli ultimi sei anni? 800 miliardi di dollari, 60 solo negli ultimi sei mesi. E’ un Paese che sta investendo cifre spaventose. Si stanno comprando tutto”. Molto di ciò che viene prodotto perciò, spiega, viene esportato dai giapponesi estero su estero e quindi non figura nelle statistiche. E se alla casa madre rientrano i profitti, molto valore aggiunto sfugge al computo del Pil, perché resta fuori confine. Ma questo non vuol dire che il Paese non stia creando ricchezza.
“Il debito – puntualizza Martellini – è per il 93% in mano ai giapponesi, e per il restante 7% in mano a banche centrali straniere. E’ per questo che si possono permettere tassi di interesse così bassi sui titoli di Stato pur avendo un debito così alto”. Insomma nessuno può fare col Giappone qualcosa di simile a ciò che è avvenuto alla Grecia.
Perciò l’accelerazione espansiva con la svalutazione competitiva voluta da Abe non è campata in aria, come sostengono i detrattori, che la vedono come fumo negli occhi, un tentativo di tornare alle fallimentari politiche degli anni ’80. “Dal punto di vista finanziario è stata perfetta”, dice Falconeri. E in effetti basta fare un giro tra i negozi per rendersi conto che non ha introdotto spirali inflattive. Il costo della vita, qui, sembra relativamente contenuto. Anche perché la tassa sul consumo, il corrispettivo della nostra Iva, – pur aumentato un anno fa all’8% e nel 2017 destinata ad arrivare al 10% – resta anni luce dal 22% imposto in Italia.
Insomma la Abenomics sembra funzionare, anche se nei numeri questo ancora non si vede. Ma “per un gigante come il Giappone ci vuole tempo”, sottolinea Martellini.
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