di Giuseppe G. Colombo
Roma, 28 giu. (LaPresse) – Il timing è tracciato e non varia di una virgola rispetto alle intenzioni manifestate più volte negli scorsi mesi dal presidente del Consiglio Renzi e dal Governo: la partita dello sblocco dei contratti pubblici, al palo dal 2010, sarà affrontata con la legge di stabilità, di cui si inizierà a discutere dopo la pausa estiva. La ministra della Funzione pubblica, Marianna Madia, l’ha ribadito: “Io ho sempre detto che avremmo affrontato il tema in settembre”. La sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti nella Pa, pur senza valenza retroattiva, non scuote le intenzioni dell’esecutivo che sulla propria strada deve vedersela con alcuni nodi ancora da sciogliere a iniziare dalla disponibilità delle risorse da mettere in campo. Su questo fronte al Tesoro si sta quantificando l’importo esatto che servirà ad adeguare gli stipendi di più di tre milioni di dipendenti all’inflazione: con il blocco un lavoratore del settore pubblico in cinque anni ha perso quasi 4.800 euro di stipendio, pari al 10% circa della sua busta paga, e serviranno quindi circa 3-4 miliardi per ripartire con il nuovo corso.
Il blocco, previsto dal governo Berlusconi cinque anni fa, e poi confermato, in successione, da Monti, Letta e Renzi, dovrebbe quindi decadere con l’approvazione dell’ex Finanziaria ed entrare in vigore a gennaio 2016: fino ad allora resta l’impianto scelto per il 2015, quello cioè che a fronte del mancato adeguamento non prevede comunque esuberi. Il Governo dalla sua può contare sull’assunzione programmata dei precari della scuola e va avanti sul fronte della riforma complessiva della Pa, ora all’esame della Camera dopo il primo via libera del Senato. Lo sblocco dei contratti deve però superare anche lo scoglio dell’attuazione degli accordi tra le parti previste dalla legge Brunetta. Il decreto legislativo n.150 del 2009, infatti, ha apportato modifiche rilevanti in materia di contrattazione collettiva e in relazione ai poteri del datore di lavoro nell’ottica di avvicinare la disciplina del pubblico impiego a quella del lavoro privato: tra le norme c’è la previsione, appunto ancora da rendere operativa, che il numero dei comparti di contrattazione dovrà essere ridotto al massimo a 4 (rispetto agli attuali 11), la cui composizione sarà stabilita dalla contrattazione.
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