Roma, 21 mar. (LaPresse) – Scontro tra Massimo D’Alema e Gianni Cuperlo all’assemblea ‘A sinistra nel Pd’, che si è svolta alla Casa della cultura di Roma. Il primo è intervenuto per spronare la minoranza ad essere più compatta e a mostrare “assoluta intransigenza” nei confronti del premier Matteo Renzi, difendendo alcuni “limiti invalicabili”. Il secondo ha risposto che “la sinistra ha ceduto negli anni in cui avete avuto il potere. Ci hai invitato a dare battaglia ma se tu e altri – ha puntualizzato Cuperlo – lo aveste fatto di più prima, ora forse la montagna da scalare sarebbe meno alta”. Il botta e risposta, che ha acceso il confronto, ha dominato il dibattito. Ecumenica la sintesi di Rosi Bindi: “Hanno ragione un po’ tutti e due”.
D’ALEMA: RENZI? GESTIONE ARROGANTE. L’intervento di D’Alema è stato durissimo contro Renzi. Prima ha sottolineato che gli iscritti, circa 150mila, sono ormai ridotti a un quarto di quelli che contavano i Ds e che ora il Pd è “un partito a forte componente personale e anche con un certo carico di arroganza”. Poi ha accusato la gestione Renzi di aver trasformato il partito nella “più grande macchina redistributrice del potere, che ne fa la più grande forza di attrazione del trasformismo italiano”. E dopo aver spiegato che gli ultimatum non servono, e che bisogna dare dei “colpi quando necessario”, ha concluso invitando la minoranza lì riunita a creare “una grande associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra” che vada oltre i confini del partito. L’intervento è stato interrotto dagli applausi più volte. E subito dopo in molti sono usciti dalla sala per confrontarsi sul suo appello.
LO SPETTRO DELLA SCISSIONE. In sala è tornato il solito spettro della scissione. Il capogruppo alla Camera Roberto Speranza aveva subito messo le mani avanti, scandendo: “mi sono stancato ogni volta di sentirmi mettere un microfono davanti dai giornalisti che mi chiedono se facciamo la scissione. No, no, no. Nessuna scissione”. Ma non è bastato: “Io non parlo di scissione, ma i miei elettori delle primarie se ne stanno andando tutti”, gli ha risposto Civati. E se Stefano Fassna ha chiarito che “non vogliamo battezzare un correntone antiRenzi “, Rosi Bindi ha sottolineato che questo è “un governo che non fa cose di sinistra”, annunciando il suo voto contrario sulla legge elettorale.
“C’è bisogno che non continuiamo a essere vassalli. Io non faccio la guerra al Governo, faccio una battaglia al mio segretario”, ha chiarito Ileana Argentin. Più morbidi i toni di Pier Luigi Bersani, che si è limitato a sottolineare, facendo un ragionamento di più medio periodo sul decisionismo del leader, che è “inaccettabile l’idea che si decide di più se si ragiona di meno”.
Filo conduttore di tutti gli interventi la necessità di intercettare il grande popolo della sinistra, disaffezionato da tempo a questo partito, soprattutto – è la tesi – a causa del leader. “La politica oggi è a Bologna, con don Ciotti”, ha riassunto Corradino Mineo. Alla fine della giornata, il confronto si è sciolto tra abbracci, strette di mano, e qualche chiacchiera nel curatissimo giardinetto che si trova davanti alla Casa della cultura. Ora inizia la parte difficile: recuperare l’elettorato. E per farlo servirà qualche “palazzetto” perché “non siamo dei leopoldi noi”, ha spiegato Bersani.