Dalla nostra inviata a Bruxelles Nadia Pietrafitta.
Bruxelles, 5 giu. (LaPresse) – I nomi, le bandiere dei singoli Paesi – compresa quella italiana – verranno solo dopo aver impresso una nuova rotta all’Europa. A Bruxelles va in scena il primo G7 senza la Russia dopo 17 anni e sul tavolo ci sono importanti dossier di politica internazionale, ma nei corridoi di Justus Lipsius la questione delle nomine per la presidenza dei vertici delle istituzioni Ue tiene inevitabilmente banco e Matteo Renzi continua a proporre la sua idea di metodo. “Serve un approccio di programma e di visione”, ribadisce il presidente del Consiglio italiano nel corso di due incontri bilaterali mattutini al premier britannico David Cameron e alla cancelliera tedesca Angela Merkel.
“Questo non è il tempo dei diktat e non è il luogo dei veti – sintetizza al termine del summit ai cronisti – È il luogo degli accordi nel senso più nobile del termine”. Nessuno tra i leader Ue, neanche chi guida il partito che ha ottenuto più consensi alle scorse Europee (ricorda Renzi “vestendo” orgogliosamente “per un attimo la giacca di segretario del Pd”) può imporre la sua volontà e, dal momento che “nessun candidato ha ottenuto la maggioranza”, sottolinea, bisogna “trovare un punto d’intesa complessiva”. Le parole del premier suonano come un avviso al candidato Ppe alla presidenza della Commissione europea Jean-Claude Juncker.
Anche se Renzi non intende partire dai nomi, non si lascia sfuggire l’occasione per dettare la linea per la costruzione della nuova Europa. “L’obiettivo del nostro Governo è sottolineare che la politica del rigore e dell’austerità e non della crescita e dello sviluppo ha dimostrato il suo limite e si è chiusa, anche nello schieramento che l’ha sostenuta”, è la frecciata. Quanto al risiko delle nomine, è netta la posizione del premier su un possibile spostamento di Mario Draghi nello scacchiere internazionale. “L’unica cosa certa – risponde Renzi a chi ipotizza un simile scenario – è che la Bce non c’entra assolutamente niente nella questione”, dal momento che il mandato di Draghi arriverà a scadenza tra cinque anni e dato il “consenso molto forte rispetto all’azione che sta mettendo in atto”.
Il premier non intende imporre nessuna bandierina italiana, insomma, almeno per il momento. “L’Italia non ha un nome o una candidatura nazionale né si aggrappa a una scelta di natura geografica. Siamo europeisti convinti” ribadisce, sottolineando come Roma sia al lavoro per un’Europa che affermi un “ruolo unitario” dell’Ue su crescita, occupazione, sviluppo, energia, scuola. “Su questi temi – aggiunge – l’Italia vuol lavorare da protagonista, ma ciò non vuol dire che vuol mettere italiani” alla presidenza dei vertici Ue “perché non è detto che questo assicuri la crescita”. “L’Italia – è il mantra – sarà protagonista nelle idee”.
Proprio dalle idee potrebbe partire allora – questa l’ipotesi emersa durante gli incontri bilaterali tra Renzi e i leader di Gran Bretagna e Germania – un documento sottoscritto da alcuni Paesi dell’Unione attorno al quale aprire poi il processo decisionale relativo ai ruoli e alle poltrone. Né totonomi, né bandiere, anche se un’indicazione da Renzi arriva. Per il premier italiano è “importante” che le donne siano protagoniste nel processo di costruzione del futuro dell’Europa. “Assolutamente vedrei bene una donna”, spiega alla stampa ricordando la composizione per metà rosa della sua squadra al Nazareno prima e a palazzo Chigi poi. “Se per una volta l’Italia, invece di farsi dettare la linea, prova a dare un esempio è un fatto positivo – ammette – anche se non credo ci sia un tema di quote ma un tema di sensibilità”. Il pensiero va alla candidatura della direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, che piace ad Angela Merkel e David Cameron, anche se il premier italiano non intende lasciarsi andare a sponsorizzazioni o veti. L’Europa deve voltare pagina. Per farlo, secondo il premier, bisogna prima cambiare l’agenda e dopo pensare alla ‘rottamazione’ di chi sin qui l’ha portata avanti.