Roma, 9 ott. (LaPresse) – “E’ con commozione, intima e profonda, che mi trovo qui oggi, insieme a voi, in questo luogo così denso di ricordi e di dolore, per ricordare le persone che hanno perso la loro vita il 9 ottobre 1963. Sono passati 50 anni da quella tragica sera quando, in pochi minuti, si è consumato uno dei più grandi disastri della storia del nostro Paese. Sono passati 50 anni, e lo sgomento, attonito e muto, di allora e dei giorni che si susseguirono, drammatici, è intatto nella nostra memoria”. Sono le parole pronunciate dal presidente del Senato Pietro Grasso nel giorno dell’anniversario della tragedia del Vajont durante la sua visita a Longarne in provincia di Belluno. Ieri nell’aula di palazzo Madama, il presidente del Senato aveva tenuto un discorso simile durante il quale porgeva le pubbliche scuse dello Stato.
“Il bilancio di quella notte è pesantissimo: 1910 morti – ha ricordato Grasso – Vostri parenti, vostri amici, cittadini innocenti che si trovavano nelle proprie case, nel calore degli affetti più intimi. Una valle che in pochi istanti cambia geografia, ‘un mondo che scompare in una notte’. In un primo momento si è parlato di ‘tragica fatalità’, di ‘calamità naturale’: ma tutto quello che è successo qui, in questi luoghi, la sera del 9 ottobre di cinquanta anni fa, era indubbiamente prevedibile. La montagna aveva mandato segnali, gli esperti avevano fatto le loro indagini e dato avvisi, lanciato allarmi circa il rischio di un evento fatale. Eppure l’avidità, l’incuria, l’irresponsabilità, la sordità alle proteste di chi da anni denunciava i pericoli – prima fra tutte una donna tenace e coraggiosa come Tina Merlin, che per le sue inchieste sulla diga venne addirittura denunciata per ‘diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico’ – ebbero la meglio”.
“Questo disastro si sarebbe evitato – ha aggiunto ancora Grasso – se una maggiore considerazione della vita umana avesse prevalso su interessi economici e strategici. Non si possono sottacere le pesanti responsabilità umane che hanno determinato la catastrofe. Né, da uomo dello Stato, posso ignorare le manchevolezze delle Istituzioni dell’epoca, che non hanno permesso di intervenire e prevenire, come era doveroso. Sono le parole di Tina Merlin a gridarcelo, quelle parole che ho letto ieri in Senato e che meritano di essere ripetute: ‘E’ stato un genocidio. Lo gridano i pochi sopravvissuti, resi folli dal terrore. […] Genocidio, quindi, da gridare ad alta voce a tutti, affinché il grido scuota le coscienze del popolo, la cui pelle non conta mai niente di fronte ai dividendi dei padroni del vapore, spazzi via alfine con un’ondata di collera e di sdegno chi gioca impunemente, a sangue freddo, con la vita di migliaia di creature umane allo scopo di accrescere i propri profitti e il proprio potere. […] Io assumo la responsabilità di quanto dico. I colpevoli si assumano la responsabilità di quanto hanno fatto. E la giustizia giudichi’. Ci sono voluti decenni per i processi – ha ricordato ancora il presidente del Senato – le condanne, i risarcimenti ma la giustizia, in questa valle, ancora non ha trovato piena cittadinanza”.
“La tutela dell’ambiente – ha spiegato Grasso – in passato, è stata considerata troppo frequentemente come un costo aggiuntivo, un intralcio alla produzione e alla crescita. Dobbiamo cambiare prospettiva. La tutela del patrimonio ambientale del nostro Paese è un’opportunità di sviluppo che dobbiamo saper cogliere, una necessità ancora drammaticamente attuale. Rispettare il territorio significa avere rispetto dell’uomo. Negli ultimi cinquant’anni, il nostro Paese ha visto frane e inondazioni che hanno provocato 7.128 vittime, secondo le stime della protezione civile. Bisogna passare ai fatti, attuare politiche di prevenzione e tutela del territorio attraverso piani di prevenzione del rischio idrogeologico in grado di tutelare un suolo fragile e prezioso, di garantire maggiore sicurezza a tutti”. “Il nostro pensiero – ha detto ancora Grasso – va ai tanti, troppi morti di questa strage, ma anche a tutti coloro che sono sopravvissuti e che, privati di tutti i loro beni, si sono impegnati nella ricostruzione di un paese spazzato via in pochi istanti. Ricordiamo le leggi speciali per il Vajont che hanno permesso l’avvio di attività imprenditoriali, che hanno rafforzato il tessuto socio-economico e consentito il rientro di migliaia di emigranti. Dove 50 anni fa tutto era fango e ghiaia, oggi c’è la più grande zona industriale della provincia di Belluno e il quarto polo fieristico del Veneto”.