Roma, 6 mag. (LaPresse) – Il senatore a vita Giulio Andreotti è morto stamane nella sua abitazione romana. Domani pomeriggio si svolgeranno i funerali, nella parrocchia che frequentava, vicino a corso Vittorio Emanuele, dove risiedeva. Lo rende noto la segreteria di Andreotti. Non ci saranno funerali di Stato nè camera ardente. L’ex senatore a vita, che aveva 94 anni, era stato ricoverato il 3 maggio dell’anno scorso al Policlinico Gemelli di Roma per una crisi respiratoria. Da allora era stato dimesso dall’ospedale e le sue condizioni erano migliorate ma non si era mai ripreso completamente.
“Tra di noi c’era un rapporto di famiglia. Di battute ne faceva tante ma quello che mi diceva più spesso è ‘sono un povero vecchio ma resisto'”. E’ il ricordo di don Luigi Veturi, parroco di San Giovanni Battista dei Fiorentini, a LaPresse, del senatore a vita. “Andreotti veniva a messa tutti i giorni eccetto da quando si è ammalato, circa un anno fa. Da allora ero io ad andare a casa sua per portargli la comunione”, ha ancora detto il parroco. “E’ da maggio dell’anno scorso che ha avuto un calo continuo. Poi nelle ultime settimane il peggioramento è stato netto”.
CARRIERA POLITICA – Con Andreotti si spegne oggi l’uomo simbolo della politica italiana degli ultimi cinquant’anni, volto della Democrazia cristiana e della prima repubblica. Per la prima volta dal 1946, quest’anno non aveva partecipato alla votazione per l’elezione del presidente della Repubblica che ha condotto alla rielezione di Napolitano, nè al voto di fiducia del governo Letta. Nato nel 1919 a Roma, è stato sette volte presidente del Consiglio, guidando anche il governo di solidarietà nazionale durante il rapimento di Aldo Moro (1978-1979), e il governo della non-sfiducia (1976-1977), con la prima donna-ministro, Tina Anselmi, ministro del Lavoro. Carriera politica infinita quella di Andreotti, tantissimi suoi incarichi di governo come ministro, partendo dalla Difesa per arrivare a Esteri e Tesoro. Sfiorò l’elezione al Quirinale nel 1985, quando a conquistare la carica fu Francesco Cossiga. Nel 2006 invece fu Franco Marini a batterlo nella corsa alla presidenza del Senato.
Notevoli, composite e dubbie le innumerevoli vicende giudiziarie che hanno coinvolto Andreotti accusato di associazione mafiosa e omicidio. Una su tutte, l’accusa di ‘associazione per delinquere’ che riguardava Cosa nostra. Amava dire: “A parte le guerre puniche mi hanno attribuito tutto”. Il senatore a vita è stato sottoposto a giudizio a Palermo: assolto in primo grado il 23 ottobre del 1999. La sentenza di appello, emessa il 2 maggio del 2003, distinguendo il giudizio tra i fatti fino al 1980 e i successivi, stabilì che Andreotti aveva “commesso” il “reato di partecipazione all’associazione per delinquere”, ma il reato venne estinto per prescrizione.
Per i fatti successivi alla primavera del 1980, Andreotti è stato invece assolto. Nel 1993 la testimonianza di un sovraintendente capo della polizia getta una luce fosca su di lui. L’agente dichiarò di aver assistito ad un incontro tra lo stesso politico e quello che solo successivamente sarà identificato come il boss Mancirancina, all’epoca sorvegliato speciale e uomo di fiducia di Totò Riina. Lo stesso Andreotti ammise in aula l’incontro con Manciaracina, spiegando che il colloquio ebbe a che fare con problemi relativi alla legislazione sulla pesca.
La sentenza di primo grado definì “inverosimile” la “ricostruzione dell’episodio offerta dall’imputato”. Pur confermando che Andreotti incontrò uomini appartenenti a Cosa nostra, anche dopo la primavera del 1980, il tribunale stabilì che mancava “qualsiasi elemento che consentisse di ricostruire il contenuto del colloquio”.
Una delle accuse più gravi fu quella di essere coinvolto nell’omicidio di Mino Pecorelli, giornalista e direttore del giornale Op (Osservatorio Politico), ammazzato il 20 marzo del 1979. Secondo i magistrati, Andreotti commissionò l’uccisione del giornalista che aveva già pubblicato notizie a lui ostili. Il pentito Tommaso Buscetta testimoniò che Gaetano Badalamenti gli raccontò che “l’omicidio fu commissionato dai cugini Salvo per conto di Giulio Andreotti”, il quale avrebbe avuto paura che Pecorelli pubblicasse informazioni che avrebbero potuto distruggere la sua carriera politica. Nella sentenza di primo grado Andreotti fu assolto. Successivamente, l’appello ribaltò la sentenza di primo grado e Badalamenti ed Andreotti furono entrambi condannati a 24 anni di carcere come mandanti dell’omicidio Pecorelli. Il 30 ottobre del 2003 la sentenza venne annullata senza rinvio dalla Cassazione.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata