Roma, 16 feb. (LaPresse) – “Lo Ior opera poco in Italia e moltissimo sul circuito internazionale, ma immettere all’estero persino i soldi dell’8 per mille lo trovo inaccettabile. Da un ente ecclesiastico si deve pretendere un approccio più etico. Se io fossi premier investirei molta più energia per rendere trasparente la finanza vaticana rispetto a quella usata da Monti, che è subordinato. Per non parlare di Berlusconi”. Lo afferma Antonio Ingroia, leader di Rivoluzione civile, intervistato dal Fatto Quotidiano. “La Casta – spiega – ha sempre lo stesso atteggiamento verso i poteri forti, e il Vaticano è un potere fortissimo.
Di politici con la schiena dritta ce ne sono pochi: c`è bisogno di un’iniezione di coraggio, e i pm possono aiutare. Da anni – continua Ingroia – nella finanza vaticana e nello Ior in particolare, c’è un problema di trasparenza. La destinazione all’estero potrebbe essere utilizzata per monetizzare fondi di provenienza sospetta, per usare un termine soft. Non sappiamo se queste somme sono mischiate a soldi ‘sporchi’, non c’è nessuna effettiva tracciabilità. Gotti Tedeschi disse di essere stato sfiduciato proprio per aver difeso la legge anti-riciclaggio. È necessario imporre la tracciabilità e la dichiarazione di provenienza di ogni flusso finanziario che passi dallo Ior. O sterziamo seriamente, riscrivendo tutta la legislazione sulla pubblica amministrazione e promuovendo un testo unico anti-riciclaggio che sia efficiente, o l’Italia verrà definitivamente divorata da Tangentopoli, che non è mai finita”.
“Anzi – continua – si è estesa a dismisura: vent’anni di berlusconismo hanno reso lecito l’illecito. Si sono create sacche sempre più ampie di impunità e corruzione, che ormai è sistemica. Noi abbiamo una ‘proposta choc’, che in un Paese normale sarebbe invece ordinaria: estendere ai corrotti e ai grandi evasori fiscali la normativa che si applica ai mafiosi. Tra corruzione, evasione e sistemi mafiosi perdiamo ogni anno circa 400 miliardi di euro, pari a un quinto del debito pubblico italiano. Non si combatte l’illegalità solo per senso di giustizia, ma come motore di sviluppo. Altrimenti – conclude Ingroia – sarà default”.