Palermo, 29 ott. (LaPresse) – Si è svolta stamane nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo l’udienza preliminare del processo sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. In aula l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, il sindaco della città, Leoluca Orlando e il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore. Nel corso dell’udienza sono state registrate otto parti civili, tra cui lo Stato e il Comune di Palermo, ed è stato rinviato tutto al 15 novembre. “E’ andata – ha commentato Mancino, lasciando l’aula – come era prevedibile. Questo è un processo che può essere frazionato in più parti e una parte, sembra quella in cui si manifesta la violenza contro lo Stato, sembra non interessare nemmeno a voi giornalisti”.
“Sono convinto che la trattativa Stato-mafia continua ancora oggi. Spero che Mancino recuperi la memoria”, ha commentato Salvatore Borsellino. In questo senso, ha aggiunto, le richieste di distruzione delle telefonate tra Mancino e il Quirinale “sono un macigno che può ostacolare il raggiungimento della verità e renderlo più difficile. Non ce lo saremmo mai aspettato dal capo dello Stato”. “Auspico – ha detto – che siano rese pubbliche le intercettazioni anche se sono sicuro che non contengono niente di importante. Ma resta un’ombra che il Quirinale abbia assicurato benevolenza a un indagato in questo processo. Oggi si sono costituite le parti civili. Tutti gli italiani hanno subito l’assassinio di Paolo Borsellino”.
Di fronte all’aula bunker si è tenuto un sit-in del movimento delle Agende rosse, che hanno contestato Mancino. Dal processo, hanno spiegato i militanti, “ci aspettiamo la verità e faremo di tutto per sostenere i magistrati che si stanno impegnando in prima linea e sono sotto attacco. L’esito di questo processo – sostengono – può far saltare la classe politica”. Fuori dall’aula anche esponenti di Rifondazione comunista, che si è costituita parte civile al processo. Fra gli striscioni esposti dai manifestanti del sit uno con la scritta “la stanza è ancora buia aiutiamo il pool a fare luce”.
Al processo sono dodici gli imputati, tra boss mafiosi, uomini delle forze dell’ordine e politici. Ci sono Mancino (che oltre a ministro dell’Interno fu anche presidente del Senato e vicepresidente del Csm), l’ex ministro Calogero Mannino (in diversi governi, ai Traporti, Agricoltura, Marina e Mezzogiorno); alla sbarra anche Marcello Dell’Utri, senatore Pdl, tra i fondatori di Forza Italia e socio di Silvio Berlusconi in Publitalia. Imputati anche vertici dei carabinieri: il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni e l’ex colonnello Giuseppe De Donno.
Per il lato mafioso della presunta trattativa, ci sono i boss Leoluca Bagarella, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Antonino Cinà e Giovanni Brusca. Imputato anche Massimo Ciancimino, figlio del sindaco di Palermo (1970-1971) Vito Ciancimino, uomo che fu espulso dalla Dc dopo che emersero i suoi legami con la mafia. Massimo Ciancimino è oggi un testimone di giustizia sul periodo delle stragi, ma è allo stesso tempo accusato di concorso in associazione mafiosa perché avrebbe aiutato il padre a mantenere i rapporti con la criminalità organizzata.
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