Roma, 7 giu. (LaPresse) – La settimana del disegno di legge anticorruzione si è chiusa con un nulla di fatto. Le prospettive del ministro della Giustizia, Paolo Severino, di chiudere entro domani sono apparse fin troppo rosee visto che sul provvedimento lo stesso governo ha chiesto una pausa di riflessione fino a martedì con lo spettro di un maxiemendamento, già pronto, su cui porre la questione di fiducia. Il disegno di legge si è infatti arenato sull’articolo 10, che prevede l’incandidabilità nella pubblica amministrazione dei condannati. La maggioranza si è spaccata sul tetto che non permetterebbe l’ingresso, anche in Parlamento, dei candidati a poltrone nella pubblica amministrazione. La proposta che ha più provocato malumori in commissione è stata quella di Angela Napoli (Fli). La relatrice della parte sulla prevenzione del disegno di legge ha usato come base una proposta del Pd appoggiando la parte che sancisce la non candidabilità anche per le condanne in primo grado per i reati più gravi come mafia, terrorismo e per quelli contro la Pa come corruzione e concussione. Contrari Pdl e Udc che ritengono incostituzionale il divieto senza una sentenza in giudicato. La relatrice Jole Santelli (Pdl) ha invece appoggiato una riformulazione di un emendamento di Pierluigi Mantini (Udc), che riabilita la delega al governo sulla materia con l’aggiunta, in attesa dell’entrata in vigore del decreto legislativo, che non possono entrare in Parlamento coloro che hanno una condanna definitiva per i reati contro la Pubblica amministrazione e per reati gravi come l’associazione mafiosa, il traffico di droga e di armi. Il rinvio a martedì appare quindi come un ultimo disperato tentativo di trovare un accordo tra esecutivo e maggioranza per approvare il disegno di legge senza il ricorso alla fiducia. Resta il fatto che la più volte paventata questione di fiducia sembra oggi ancora più vicina e sarà messa su un maxiemendamento all’articolato che va dal 13 al 19, assorbendo anche il 10.

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