Torino, 6 mar. (LaPresse) – “Occorre, ed è la nuova frontiera verso la quale ci si sta spingendo, che la professionalità del magistrato sia costantemente curata ed aggiornata, che sia sottoposta a verifiche serie ed oggettive da parte del Consiglio superiore della magistratura”. Lo ha detto il ministro della giustizia Paola Severino al convegno “La magistratura ordinaria nella storia dell’Italia unita”, a Palazzo Madama a Torino. “Verifiche – ha aggiunto – che guardino anche ai risultati ottenuti e si mantengano lontane da logiche corporative”.
La Severino ha poi ribadito che “l’autonomia e l’indipendenza di cui oggi gode ogni singolo magistrato non rappresentano privilegi di casta, ma sono valori cui ispirare il proprio lavoro, strumenti da utilizzare con professionalità e cautela per rendere un servizio alla collettività” perché “solo così chi è sottoposto al giudizio di un magistrato – ha aggiunto – ne accetterà serenamente, come è doveroso, le decisioni”.
Il ministro ha esordito nel suo discorso ricordando che “autonomia e indipendenza della magistratura italiana sono frutto di un percorso non facile e per lungo tempo non rettilineo, che ha raggiunto un pieno riconoscimento costituzionale soltanto in epoca repubblicana e che oggi rappresenta un principio basilare del nostro ordinamento, ma anche un valore, una conquista da custodire e difendere”. Severino ha spiegato che il “potere giudiziario può però pericolosamente trasformarsi in arbitrio, se non è sorretto da un altrettanto e robusto senso di responsabilità e da una costante cura dell’eccellenza professionale del singolo magistrato”.
“Non vi è dubbio infatti – ha specificato – che indipendenza ed autonomia siano valori da rinsaldare quotidianamente, rafforzando la fiducia del cittadino nell’istituzione giustizia e rispondendo alle attese di obiettività, equilibrio, sobrietà e imparzialità che promanano dalla società civile”. “Un siffato potere – ha precisato Severino – può essere giustificato se, e soltanto se, il magistrato che lo detiene sia ed appaia al cittadino come persona autorevole e non autoritaria, responsabile, riservata, professionalmente preparata, consapevole di far parte di una struttura complessa e di svolgere un compito difficile come quello del giudicare, sapendo di essere egli stesso giudicato e giudicabile dalla collettività in primo luogo sotto il profilo morale”.