Il premier alla resa dei conti, i 1.278 giorni del Berlusconi IV

Roma, 8 nov. (LaPresse) – Tre milioni di voti in più rispetto alla coalizione avversaria e una maggioranza bulgara fatta di 344 deputati e 174 senatori. Il quarto governo Berlusconi nasce il 7 maggio 2008 dopo una vittoria schiacciante alle elezioni del 13-14 aprile sulle ceneri dell’esecutivo Prodi. Presupposti che mai avrebbero fatto pensare a una conta all’ultimo deputato, come sta avvenendo in queste ore, con il premier impegnato a recuperare lo scontento dei malpancisti che potrebbero far pendere l’ago della bilancia dall’altra parte, in occasione del voto alla Camera sul rendiconto generale dello Stato. Berlusconi aveva impiegato solo 25 giorni per formare la sua squadra: 22 ministri (12 con portafoglio, 10 senza), 5 viceministri e 37 sottosegretari. Una compagine di governo con un’età media di 52 anni e con il ministro più giovane della storia del Paese: la trentunenne Giorgia Meloni.

Il voto aveva consegnato al premier la possibilità di arrivare fino in fondo alla legislatura senza problemi, con Lega e Movimento per l’Autonomia fedeli alleati e soprattutto senza l’atavico problema della frammentazione della maggioranza che era stata letale al centrosinistra. Un equilibrio che dimostra la sua efficienza in occasione dei primi provvedimenti approvati, come il piano di salvataggio di Alitalia, ma che registra il suo primo, seppur piccolo, incidente di percorso, il 24 giugno 2008, quando i parlamentari dell’Mpa annunciano di non voler votare la prima fiducia al Governo sul Documento di economia e finanza (Def) predisposto dal ministro Giulio Tremonti. Un’impasse che Berlusconi supera in meno di ventiquattr’ore, recuperando il disaccordo con un ordine del giorno predisposto dai ‘dissidenti’: la Camera approva il provvedimento con 326 sì. Sono poi le misure ‘calde’ come la manovra finanziaria e la riforma dell’università a spingere il premier al ricorso dello strumento della fiducia. Gli strascichi di questa nuova politica provocano lo strappo dei Liberaldemocratici, ma la maggioranza guadagna l’adesione di Francesco Pionati, ex Udc.

A inizio 2009, il clima si fa più ostile: lascia il fedelissimo Paolo Guzzanti (dal Pdl al Pli) e i voti blindati a Montecitorio si fanno sempre più frequenti. A maggio si allarga la squadra di palazzo Chigi con la nascita del ministero del Turismo, affidato a Michela Vittoria Brambilla, e con la nomina di 5 viceministri, già sottosegretari: Vegas, Urso, Romani, Castelli e Fazio. Ancora fiducie (ddl sicurezza, scudo fiscale, finanziaria, decreto Ronchi) e ancora abbandoni: lascia la Poli Bortone e l’Mpa dichiara l’intenzione di votare a favore solo per le misure che riguarderanno il Mezzogiorno. La credibilità del Governo inizia però a vacillare a inizio del 2010 per gli scandali che coinvolgono alcune figure chiave dell’esecutivo: quella del numero uno della Protezione civile, Guido Bertolaso, legata agli appalti illeciti per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo, e la vicenda del sottosegretario Nicola Cosentino, indagato per collusione con la cosca camorristica dei Casalesi. Ulteriore tegola sono poi le dimissioni di Claudio Scajola da ministro dello Sviluppo economico per i sospetti legati alla provenienza dei soldi per acquistare la sua abitazione a due passi dal Colosseo.

Il premier prova a mescolare le carte e la squadra di governo cambia ancora con l’arrivo di Aldo Brancher, che è costretto però a lasciare dopo 17 giorni per il suo coinvolgimento nello scandalo Antonveneta. I malumori si fanno più insistenti anche per alcune misure ritenute da alcuni ‘ad personam’, come il disegno di legge sulle intercettazioni. E’ il presidente della Camera, Gianfranco Fini, a dare il colpo di grazia alla solidità dell’esecutivo. Il 30 luglio 2009, 33 deputati e 10 senatori escono dal Pdl e formano il gruppo parlamentare ‘Futuro e libertà’: il Governo perde la maggioranza assoluta in parlamento. Berlusconi si ripresenta alla Camera a settembre con un discorso programmatico in cinque punti per dimostrare che la maggioranza regge nonostante il ‘tradimento’ di Fini e incassa 342 voti a favore (275 i contrari, 3 le astensioni). Ma le turbolenze interne non si attenuano.

Il 14 dicembre, in un clima rovente per il Paese, agitato dalle rivolte studentesche, il presidente del Consiglio supera di nuovo il doppio fuoco incrociato di Camera e Senato, con una drammatica seduta a Montecitorio, dove la maggioranza tiene per soli tre voti (314 contro 311), salvata dalle transfughe finiane Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini, dagli ex Pd Massimo Calearo e Bruno Cesario. A rappresentare la cartina al tornasole del nuovo assetto della maggioranza, è il voto di Domenico Scilipoti, che eletto nelle fila dell’Italia dei Valori, passa ad appoggiare il Cavaliere. Si apre la stagione della terza gamba della maggioranza: i Responsabili, poi confluiti nel gruppo parlamentare ‘Popolo e territorio’, che arrivano a contare 25 deputati. Ad aprile scoppia il caso Ruby e il premier si difende nell’emiciclo di Montecitorio che approva l’esistenza del conflitto d’attribuzione con la procura di Milano. Sul governo, però, si abbatte la scure della crisi internazionale. Le due manovre economiche di luglio ed agosto e i rapporti sempre più precari con Tremonti costringono nuovamente il premier a ricorrere al voto di fiducia, la 51esima dall’inizio della legislatura. Ancora una vittoria per Berlusconi, ma l’acuirsi della crisi ha un effetto detonatore per il Popolo della libertà: in tre escono dal partito (Gabriella Carlucci, Alessio Bonciani, Ida D’Ippolito) per confluire nell’Udc, ma la fronda degli scontenti tra Camera e Senato conta 40 parlamentari. E sulla ‘carta’ la maggioranza non c’è più.