Roma, 12 ott. (LaPresse) – Estorsione a Roma, istigazione a rendere dichiarazioni mendaci a Bari e associazione per delinquere finalizzata alla truffa e alle false fatturazioni a Napoli. Sono i tre capi di imputazione sollevati dalle tre distinte procure che indagano sul direttore de ‘L’Avanti’, Valter Lavitola, e sui reati che avrebbe commesso. Un intreccio complicatissimo nato dalla lotta sulla competenza territoriale che ha spostato prima a Roma e poi a Bari l’inchiesta partenopea sui soldi versati da Berlusconi, attraverso Lavitola, ai coniugi Tarantini.
Tutto è iniziato con l’inchiesta della procura di Napoli che ipotizzava un presunto ricatto al premier Silvio Berlusconi da parte di Lavitola e Tarantini, e li accusava perciò di estorsione. Ma in sede di riesame il 26 settembre, il reato è stato convertito, per Lavitola, su richiesta degli stessi pm, in quello previsto dall’articolo 377 bis che punisce “l’induzione a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria”. In pratica i pm si sono accorti Tarantini non aveva ricattato il premier, tramite Lavitola, ma era al contrario stato pagato, sempre tramite Lavitola, per mentire. Insomma il passaggio di denaro resta, ma cambia il senso di marcia del reato. Il riesame perciò ha deciso di scarcerare Tarantini, per il quale l’accusa di estorsione era caduta, e di confermare la richiesta di custodia cautelare per Lavitola, che tuttora risulta latitante, per induzione a mentire.
Il riesame però ha anche stabilito che la procura competente doveva essere quella di Bari e non quella di Napoli. Ma il 22 settembre, cioè pochi giorni prima, il gip del tribunale di Napoli, Amelia Primavera, aveva già trasferito, in base agli atti che i pm napoletani le avevano fornito e che riguardavano il presunto ricatto ordito da Lavitola e Tarantini ai danni di Berlusconi, la competenza territoriale a Roma. Col risultato che da Roma gli atti sull’induzione a mentire contestata a Lavitola sono stati spediti a Bari, mentre quelli sull’estorsione per lui e Tarantini, anche se bocciati dal riesame di Napoli, sono rimasti a Roma.
Il gip di Bari ha 20 giorni dall’ordinanza del tribunale del riesame di Napoli, in base alla quale Lavitola è accusato di induzione a mentire, per confermare o meno la richiesta di arresto. Sabato i pm del capoluogo pugliese hanno presentato la richiesta di arresto ma poi, oggi, il procuratore aggiunto ha fatto un passo indietro, chiedento al gip la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare. Secondo i magistrati pugliesi non ci sarebbero gravi indizi di colpevolezza sul reato di induzione a mentire. Ma per fare chiarezza sui dubbi della procura barese bisognerà attendere ancora la decisione del gip che entro domenica 16 ottobre, dovrà mettere un punto. Nulla è scontato. Anche se la procura barese chiede che resti libero, il giudice potrebbe confermare, invece, la richiesta di arresto.
Intanto i pm partenopei hanno avviato un altro fascicolo, nato sempre dall’inchiesta sui rapporti Tarantini-Lavitola-Berlusconi. In questo caso al centro dell’attenzione dei magistrati ci sono le modalità con le quali stati erogati ed utilizzati i fondi per l’editoria ottenuti da ‘L’Avanti!’, che Lavitola potrebbe aver ottenuto dalla presidenza del Consiglio in modi poco trasparenti, sfruttando proprio i suoi rapporti personali.