Roma, 25 set. (LaPresse) – “La procura di Napoli, come gli altri uffici inquirenti d’Italia, non lavora per tendere trappole o trappoloni. Non agiamo per ingannare il prossimo. Agitare il fantasma del trappolone era solo un espediente difensivo”. Lo ribadisce in un’intervista a Repubblica, Giandomenico Lepore, capo della procura di Napoli che indaga sul presunto ricatto al premier Silvio Berlusconi. “Volevamo sentire Berlusconi come teste – spiega il magistrato – per chiarire alcuni aspetti dell’indagine sui quali era necessario rivolgergli alcune domande”.
“Se Berlusconi, dopo aver evitato il confronto con noi, si dice a disposizione della Procura di Roma – aggiunge Lepore – evidentemente si sente più garantito. Ma non posso dire che abbia mostrato un atteggiamento di leale collaborazione nei nostri confronti”. Il procuratore partenopeo inoltre nega che il presidente del Consiglio sia iscritto nel registro degli indagati: “Valuteremo, semmai, dopo la decisione del riesame. Durante la discussione in udienza i colleghi hanno sviluppato tutte le ipotesi e affrontato tutti gli scenari di una vicenda che è stata caratterizzata da più fasi e di un’indagine che si è arricchita di elementi nuovi durante il suo cammino”.