Milano, 9 lug. (LaPresse) – I giudici della seconda Corte d’Appello di Milano hanno condannato Fininvest ad un risarcimento di 560 milioni da versare a Cir per la vicenda del lodo Mondadori. Uno ‘sconto’ di circa un quarto rispetto ai 750 milioni disposti in primo grado dal giudice Raimondo Mesiano, che porterà il premier a ‘risparmiare’ circa 190 milioni di euro. La somma stabilita dai giudici milanesi dovrà essere versata per i danni causati dalla corruzione giudiziaria che nel 1991 pregiudicò un corretto esito del braccio di ferro tra Berlusconi e De Benedetti per il controllo di Mondadori.
Il risarcimento
L’entità della somma si compone del risarcimento vero e proprio, di 540 milioni di euro a cui si aggiungono gli interessi legali del 2,5%, calcolati a partire dal 3 ottobre 2009, la data della sentenza di primo grado. Alla cifra vanno sommate le spese legali che ammontano a circa 8 milioni di euro.
Determinante per ridimensionare il risarcimento è stata soprattutto la consulenza tecnica d’ufficio che nel marzo 2010 la Corte d’Appello aveva affidato ai professori Luigi Guatri, Maria Martellini e Giorgio Pellicelli per verificare “se fra giugno 1990 e aprile 1991 siano intervenute variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti”. I tre consulenti hanno stabilito una riduzione del valore delle aziende attorno al 18,8%.
Alla somma iniziale di 750 milioni, i giudici di secondo grado hanno sottratto 66 miliardi di vecchie lire per mancato calcolo da parte del primo giudice di un risparmio da parte Cir in relazione alle azioni del gruppo l’Espresso tra la prima e la seconda transazione.
Alla cifra inizialmente stabilita, il collegio presieduto da Luigi de Ruggiero ha anche sottratto altri 40 milioni di euro, perché ha deciso di non riconoscere alcun danno d’immagine imprenditoriale alla holding della famiglia De Benedetti che non avrebbe potuto in alcun modo realizzare il progetto della “grande Mondadori”. L’idea era infatti già tramontata a favore di una spartizione del gruppo tra Berlusconi e De Benedetti.
La sentenza d’appello conferma nella sostanza quanto già valutato in primo grado. “Con Metta non corrotto il lodo sarebbe stato confermato”, scrivono i giudici milanesi in un passaggio delle circa 300 pagine di motivazioni. La Cir subì un danno “immediato e diretto” dalla sentenza Metta, e non una semplice “perdita di chanches” come aveva stabilito il giudice Raimondo Mesiano.
Questa volta il verdetto d’appello è immediatamente esecutivo, come lo sono le sentenze di secondo grado in tutte le cause civili. Questo significa che la Cir, appena avrà in mano le copie registrate del provvedimento firmato dai giudici milenesi, avrà titolo per incassare parte della fideiussione da 806 milioni di euro stipulata da Finivest in favore di Cir ed emessa dalle quattro banche Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e Popolare di Sondrio. La maxi garanzia è il frutto di un accordo stretto dagli avvocati delle due parti nel dicembre 2009 per “congelare” il versamento del risarcimento record da 750 milioni, stabilito dalla sentenza di primo grado, in attesa dell’appello. Fininvest avrà però 30 giorni di tempo, a cui va sommata la pausa estiva, per fare ricorso in Cassazione e nel frattempo presentare richiesta di sospensione della sentenza in attesa del pronunciamento del terzo grado di giudizio, dilazionando così ulteriormente il pagamento.
La vicenda
La causa civile che oggi ha portato a stabilire il risarcimento di 560 milioni a favore di Cir aveva preso il via nel 2004 ed era scaturita da una vicenda penale che nasce in piena Tangentopoli. Un testimone aveva parlato di mazzette pagate dalla Fininvest al giudice romano Vittorio Metta, che nel 1991 avevano riportato con una sentenza d’appello il controllo del gruppo di Segrate nelle mani di Silvio Berlusconi. Solo 10 mesi prima un lodo arbitrale aveva invece stabilito che il 50,3% della Mondadori spettava a De Benedetti. Proprio l’annullamento della decisione degli arbitri spianò la strada a Berlusconi perché pose la Cir nella condizione di trattare da una posizione molto più debole il compromesso con Fininvest. La transazione sfociò nella spartizione del gruppo editoriale: i libri, i settimanali e un conguaglio di 365 miliardi di lire a Berlusconi e invece “l’Espresso”, “Repubblica” e i quotidiani locali “Finegil” a De Benedetti.
I processi penali si sono conclusi il 13 luglio 2007 in Cassazione con la condanna per corruzione del giudice Metta, dell’avvocato Previti e dei legali Pacifico e Acampora. L’unico che non ebbe alcuna conseguenza penale dalla vicenda fu Silvio Berlusconi, reputato oggi “corresponsabile” della corruzione dai giudici d’appello, che hanno fatto propria una valutazione già espressa dal giudice di primo grado. Il premier, a cui veniva contestato il medesimo reato di Cesare Previti, nel 2001 ottenne infatti la prescrizione, grazie al fatto che gli erano state concesse le attenuanti generiche nella fase del rinvio a giudizio.