L'alpinista iraniana: "In Europa dite 'no alla guerra' poi però andate tutti a letto"

“La fine temporanea della guerra non significa la fine delle sofferenze del popolo iraniano. Questa cosiddetta ‘tregua’ porta con sé il tono amaro di un’opportunità incompiuta, un’opportunità che avrebbe potuto esercitare una reale pressione sulla struttura del regime. Ma questa non è la fine”. A dirlo a LaPresse è Nasim Eshqi, alpinista professionista iraniana ed ex campionessa di kickboxing, che dopo aver lasciato l’Iran ora vive in Europa e da attivista si batte per i diritti delle donne iraniane.
“Per noi, popolo iraniano, è solo un’altra pausa in una lunga lotta.
Il problema principale risiede nell’ideologia alla base di questo regime, un regime che opprime le persone, controlla le donne e uccide i dissidenti da 46 anni”, prosegue Eshqi, alpinista che ha già aperto oltre un centinaio di nuove vie dal Medioriente all’Europa e autrice del libro ‘Ero roccia, ora sono montagna. La mia battaglia per la libertà delle donne in Iran e nel mondo’. “Gli iraniani hanno provato un senso di speranza quando il regime è stato danneggiato da questi attacchi, perché per la prima volta non è stato il popolo, ma il potere stesso a essere preso di mira. La maggior parte delle persone sa che la vera libertà può arrivare solo attraverso un cambiamento fondamentale nel sistema e nella mentalità dominante”, sottolinea Eshqi, secondo la quale “questa è una pace che semplicemente dà al regime un’altra possibilità di respirare. Ciò che la gente vuole non è solo un breve momento di calma, ma la fine vera, la fine di un sistema che ha tenuto in ostaggio l’umanità per 46 anni. Niente è ancora finito. La voce del popolo iraniano non è stata messa a tacere e ogni voce che si alza ci avvicina alla libertà”.

Khamenei, il principale diffusore di odio

Fino a poche ore fa Eshqi ha osservato dall’Italia le bombe sul suo Paese: “Alcuni membri della mia famiglia hanno lasciato Teheran, ma altri sono rimasti, convinti che le zone lontane dal regime e dai siti militari non vengano prese di mira. Ho contatti molto limitati con loro a causa dei deliberati blocchi di Internet da parte del regime”.
Eshqi ha deciso di rinunciare anni fa all’hijab e a tutte le limitazioni che il regime islamico impone alle donne, per il suo impegno politico è stata arrestata diverse volte ed è stata costretta a rinunciare alla sua carriera sportiva da kickboxer e all’esilio.
“L’uomo responsabile di questa guerra, Khamenei, il principale diffusore di odio nella regione e oltre, si nasconde dietro i civili, usando vite innocenti come scudi”, sottolinea la sportiva iraniana.

Iraniani uniti contro la Repubblica Islamica

“Questi attacchi hanno indebolito il nucleo del regime e per una volta è stata la Repubblica Islamica, non i civili, a pagarne il prezzo. Gli iraniani hanno sofferto per 46 anni, ora il regime ne sta subendo le conseguenze. La gente ha celebrato la morte dei membri dell’IRGC, il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, le stesse forze che hanno ucciso, violentato, accecato e giustiziato manifestanti pacifici”, prosegue Eshqi, secondo cui alla guerra al momento conclusa dovrà seguire “un piano concreto per smantellare l’ideologia violenta che la sostiene. La caduta del regime: questa è la volontà del popolo iraniano. Senza di essa, un Iran libero e democratico è impossibile”.
La guerra, per chi lotta per i diritti, è vista come una speranza di liberazione: “Gli iraniani sono in gran parte uniti nell’odio per la Repubblica Islamica. Vogliono la libertà, ma sotto questo regime è un’illusione. La gente è esausta”. Durante i bombardamenti di Israele e Usa “molti dicevano di sentirsi più sicuri in quel momento”, mentre altri “dicevano apertamente: ‘Anche se moriamo, ne vale la pena se vengono uccisi membri del regime, forse la prossima generazione vivrà libera’. Ecco quanto è disperata la situazione”, rimarca Eshqi.

Comunità queer difendono paesi islamici, ma lì morirebbero

“Dall’Italia, e dall’Europa in generale, sento quanto le persone siano lontane dalla nostra realtà. Molti vedono ancora l’Iran solo attraverso la geopolitica o la religione, non attraverso le vite di donne, artisti, atleti e giovani che rischiano tutto per la dignità.
Ciò che mi sconvolge è la reazione superficiale: ‘No alla guerra’, e poi vai a letto. Di questi tempi è facile incolpare Israele e sentirsi moralisti, ma vedono gli stupri di donne da parte dei talebani? Cosa sta succedendo in Somalia? Sanno che gli iraniani hanno vissuto 46 anni di esecuzioni, torture e silenzio? Questa non è pace, è una lunga guerra”, denuncia Nasim, “quando Israele prende di mira i leader dell’IRGC, la cosa è importante. Se la Repubblica Islamica dovesse ottenere armi nucleari, non esiterebbe a colpire, rischiando una catastrofe globale. Eppure l’Europa distoglie lo sguardo, forse per il petrolio, il profitto o per paura di confrontarsi con un’ideologia che ha tollerato per troppo tempo. Il governo della Repubblica Islamica non si comporta come un governo normale. Rifiuta la coesistenza e glorifica la morte e il martirio: ‘Noi rivendichiamo la guerra per Allah, moriamo tutti, noi andiamo in paradiso, voi andate all’inferno’. Non si può negoziare con un regime costruito sulla paura, la violenza e il fanatismo religioso. In Occidente, alcune comunità queer difendono i paesi islamici, ignare che lì andrebbero a morte. È un atto performativo, cambiare bandiera per sentirsi coinvolti. Al di là della storia, molti non sanno nominare una seconda città nel paese che sostengono ciecamente. Questo non è attivismo, è mera moda”.

Sogno una terra senza esecuzioni

Nasim Eshqi non pensa di tornare a Teheran, ma la sua speranza è che il suo Paese possa essere un giorno libero: “L’Iran è più di una terra. È una lingua, una cultura di generosità, i valori umani che un tempo nutrivamo e l’eredità di Ciro, che scrisse la prima carta dei diritti umani. Oltre i confini, mi considero una cittadina dell’umanità, della Terra. Ma sì, sogno un Iran dove le donne possano scalare montagne senza veli, senza timore di arresto o aggressione, senza bisogno di permessi per viaggiare, studiare o lavorare. Dove possano godersi il sole in bikini, o nude, per loro scelta. Dove essere queer non sia una condanna a morte. Dove le bambine non siano costrette a sposarsi o a rimanere incinte. Dove le ragazze crescano vedendo la loro forza celebrata, non cancellata”. “Sogno una terra senza esecuzioni – conclude la sportiva -. Una terra dove la religione è natura e umanità, non il dominio di chierici corrotti, violenti e predatori. Quel sogno può sembrare lontano ora, ma ogni voce che si rifiuta di tacere lo avvicina”.

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