"Nessuno di noi voleva andarci. Spero davvero che adesso possa cambiare qualcosa" dice Alessandra Campedelli, ora allenatrice del Pakistan femminile

Io come ricordo di Raisi conservo la sua voce, che ancora mi terrorizza. A tutto volume per 45 minuti ha continuato a parlare, urlare, il senso del tutto era che è l’occidente ad avercela con loro e che non dovevamo credergli, che tutte le sue decisioni erano per il bene dell’Iran. Se penso a quel momento ho ancora il cuore e lo stomaco che batte. Era un terrore. A un certo punto è arrivata una donna senza hijab, si è messa a urlare ed è stata portata a malo modo fuori dalle guardie”. È il ricordo di Alessandra Campedelli, ex commissario tecnico della nazionale femminile di pallavolo dell’Iran, oggi ct del Pakistan femminile, commentando a LaPresse la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi.

“C’era tanta tensione – prosegue – noi siamo state costrette a salire sul palco per fare la foto con lui. Per fortuna la legge islamica vieta alle donne di dare la mano agli uomini, in quel caso di dare la mano a quell’uomo. Non c’è stata una ragazza che si è rivolta verso di lui: solo sdegno, paura e rabbia. Tuttora non hanno speranza, io spero solo che questa morte possa cambiare qualcosa. A quel punto avrebbe avuto un perché”. Il suo ricordo risale a un incontro di donne con il presidente che Raisi aveva voluto per attenuare le proteste seguite alla morte di Mahsa Amini.

“All’inizio non pensavo che Raisi fosse morto davvero, ho saputo della sua morte perché qualche ragazza della nazionale dell’Iran mi ha detto stamattina ‘guarda, è morto davvero’. Morto lui, io spero davvero che per l’Iran possa cambiare qualcosa, spero qualcosa di migliore per la loro situazione. La decisione di venire via dall’Iran l’ho presa dopo l’incontro con lui. L’avermi costretta con la mia squadra ad andare a quell’incontro, il primo incontro in assoluto che il presidente dell’Iran aveva voluto fare con le donne: ha invitato tutte le atlete donne che avevano vinto una medaglia ai Giochi della solidarietà islamica 2021 di Konya (dove la sua nazionale vinse l’argento, ndr)”, prosegue Campedelli, un passato in Italia da allenatrice con Trento e Trentino volley, nazionale italiana sorde e nel 2023/24 a Verona. Sempre su quell’incontro, Campedelli rimarca: “Immaginate le mie ragazze all’idea di incontrare il presidente e andare incontro a sorti anche peggiori. Si sono presentate con la mascherina anti covid per non essere riconosciute. Non abbiamo indossato una divisa, anche quello era un segno di protesta”.

La mia squadra non voleva andarci, nessuno di noi voleva andarci. Era chiaramente un incontro politico, in un momento di grande difficoltà, un incontro che Raisi aveva voluto per attirarsi dalla sua parte una parte di popolazione che era contro, ha provato a fare questa mossa, per farsi vedere più dalla parte delle donne nonostante le stesse ammazzando perché non portavano l’hijab. Da una parte firmava le condanne a morte, dall’altra ci ha invitati”. A quell’incontro “si presentarono solo 6 ragazze su 14, tre persone dello staff su 6, in segno di protesta, ma anche perché prima di noi toccò alla squadra iraniana di calcio per l’in bocca al lupo prima dei mondiali in Qatar del 2022. Dopo che la gente aveva visto questo incontro il popolo si era rivoltato contro la squadra, furono fischiati allo stadio, per questo poi la squadra iraniana non ha cantato l’inno. Poi nella seconda partita l’inno lo hanno dovuto cantare perché il governo è intervenuto”.

Lasciato l’Iran, oggi in Pakistan la vita da coach di Campedelli può dirsi sicuramente migliorata: “Qui sono serenissima e tranquillissima, mai avuto motivo di preoccuparmi, Islamabad è una città molto accogliente e sicura. Anche in Iran prima di Mahsa mi sentivo sicura. Ero libera di muovermi, anche se ho dovuto combattere per avere la macchina dalla federazione come concesso ai ct uomini – si dice convinta l’allenatrice di Mori – Quando mi muovo in questo centro sportivo grandissimo a Islamabad tutte le federazioni mi vedono, c’è il volley ma anche la lotta, l’hockey prato e tutti gli altri sport nazionali. Qui tutti vedono che non sono una di loro, ma sono molto attratti da questa possibilità, mi chiedono se sono io il ct, se lo sono delle donne o degli uomini. Insomma, per loro sarebbe normale anche se io allenassi la maschile”.

“Perché ho deciso di andare in Medioriente per allenare? La prima motivazione è perché in questi paesi per paradosso viene dato più spazio alle donne di allenare le donne. In Italia questa possibilità non l’ho avuta per confrontarmi ad alti livelli internazionali”. “Ma è stata anche una sfida con me stessa, per uscire dalla zona di comfort e da alcune delusioni. L’idea che io ho sempre avuto e coltivato quando ero più giovane, è che sono convinta che lo sport possa davvero trasformare la società. Uno strumento di dialogo e superamento di ogni tipo di barriera. Prima lo facevo con le barriere fisiche, persone con disabilità, poi con le ragazze sorde, e ora con le barriere di genere e culturali”, conclude Campedelli, che tra le tante vittorie ha ottenuto finalmente anche l’ok della federazione pakistana a uno stage estivo in Italia: “Dal 27 maggio al 16 giugno verremo una settimana a Mori (in provincia di Trento) e due settimane a Zero Branco (Treviso): un sogno realizzato per loro e una possibilità per me di lavorare in modo diverso, per poterle allenare in un certo modo, perché qui le strutture non sono adeguate in questo momento”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata

Tag: ,