Il caso di Indi Gregory, la bambina britannica di otto mesi affetta da una rara malattia mitocondriale a cui l’Italia ha concesso la cittadinanza “in considerazione dell’eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare al minore ulteriori sviluppi terapeutici”, riporta alla memoria quelli di Charlie Gard e Alfie Evans.
Nato il 4 agosto 2016, a un mese gli fu diagnosticata una malattia genetica rara, una forma di sindrome da deplezione del Dna mitocondriale. A ottobre il bambino, in chiare difficoltà respiratorie, fu ricoverato al Great Ormond Street Hospital di Londra, dove fu tenuto in vita grazie a macchinari per la ventilazione. A gennaio del 2017 i genitori iniziarono una raccolta fondi per trasferirlo negli Stati Uniti e sottoporlo a una terapia sperimentale, ma i dottori dell’ospedale inglese si opposero spiegando che, a loro dire, la terapia non avrebbe migliorato la vita di Charlie. Ne nacque una battaglia giudiziaria davanti ai tribunali britannici, che diedero sempre ragione ai medici, e poi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che a fine giugno respinse l’istanza dei genitori. Il caso fu seguito con “affetto e commozione” anche da Papa Francesco e l’allora presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, mise in guardia dalla “cultura dello scarto” perchè “ogni vita deve essere vissuta”. L’ospedale ‘Bambino Gesù’ di Roma si offrì di accogliere il bambino e il caso fu sollevato anche da Angelino Alfano, in quel periodo ministro degli Esteri, con le autorità britanniche, ma per motivi legali non si arrivò a una conclusione positiva. Charlie morì il 28 luglio 2017.
Nato il 9 maggio 2016 il piccolo, affetto da un disturbo neurodegenerativo, fu al centro di un caso non solo giuridico ma anche mediatico che coinvolse tutto il Regno Unito e non solo. Dopo che a dicembre 2017 l’ospedale di Liverpool, dove era ricoverato, decise per la sospensione della ventilazione assistita i giovani genitori, che all’epoca avevano 21 e 22 anni, diedero vita a una lunga battaglia legale, senza nessun esito. Il 18 aprile del 2018, dieci giorni prima della morte avvenuta il 28 aprile, Thomas Evans, il padre di Alfie, fu ricevuto in udienza privata a Roma da Papa Francesco. “Rinnovo il mio appello perché venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitori e venga esaudito il loro desiderio di tentare nuove possibilità di trattamento”, affermò Bergoglio dopo l’incontro. Mariella Enoc, presidente dell’ospedale Bambino Gesù, scrisse all’ospedale di Liverpool dicendo che la struttura romana era disposta ad accogliere Alfie per esaminare il caso e capire se ci fossero terapie possibili. Anche il Gaslini di Genova, altro centro all’avanguardia per le patologie pediatriche, diede la sua disponibilità. Il 23 aprile il governo italiano decise di concedere la cittadinanza italiana ad Alfie Evans per motivi umanitari. Lo stesso giorno l’ospedale di Liverpool stabilì di staccare la ventilazione come disposto dalle autorità britanniche, mentre all’esterno della struttura e online cresceva l’ondata di proteste dei manifestanti della ‘Alfie’s Army’, sostenitori della causa dei genitori del bambino. Alfie morì cinque giorni dopo.