Così Gabriella Gagliardo, presidente Cisda: "Non sono minimamente cambiati, fanno quello che hanno sempre fatto"
Non credono alle promesse dei talebani nei confronti delle donne: le ong che da decenni lavorano in Afghanistan conoscono il vero volto dei fondamentalisti e sanno che a pagare saranno le donne.
Le notizie dei rastrellamenti casa per casa sono confermate anche dalle onlus che lì, a Kabul e non solo, hanno lasciato donne, amiche, colleghe, combattenti, sperando di trovarle quando la tempesta sarà passata.
“Tutte le attività in questo momento sono svuotate, a partire dagli orfanotrofi: le ragazze sono andate tutte via in case famiglia perché sarebbero state il primo target dei talebani. Non è stata una vita facile, ma adesso è diventata impossibile”, dice a LaPresse Gabriella Gagliardo, presidente Cisda – Coordinamento Italiano a sostegno delle donne afghane onlus, da decenni operativa nel Paese. “In realtà, chi conosce e frequenta l’Afghanistan sa che, soprattutto per le donne, la vita è stata dura anche in questi 20 anni. Non c’è mai stata una reale situazione democratica”, ricorda ancora Gagliardo che non crede al volto ‘moderato’ dei talebani. “Non sono minimamente cambiati: ovunque arrivano fanno quello che hanno sempre fatto, anche in questi 20 anni, a iniziare dalle aggressioni alle ragazze e alle bambine che andavano a scuola. Il fondamentalismo è rimasto radicato in Afghanistan durante tutto il periodo di occupazione”.
Parole di paura e di profonda preoccupazione anche da un’altra onlus, Pangea, attiva in Afghanistan in progetti per i diritti delle donne dal 2003. “I nostri contatti, le donne che seguiamo da anni, le colleghe con cui lavoriamo che per noi sono famiglia, ora stanno davvero rischiando la vita: i talebani hanno iniziato a girare casa per casa, in cerca di donne e uomini che hanno collaborato negli anni con gli occidentali o le organizzazioni occidentali”, racconta Silvia Redigolo, responsabile comunicazione di Pangea onlus.
L’urgenza è salvare chi rischia la vita, cioè le donne, in primis le attiviste. “La loro paura reale è di essere uccise, non è solo una questione di come vivere ma di sopravvivere – aggiunge Redigolo – : le donne in queste situazioni pagano sempre il prezzo più alto, tra stupri, violenze e anche la vita. Speriamo che il corridoio umanitario si apra in fretta perché tra due giorni non so se saranno ancora vive. Dobbiamo agire subito perché il rischio è reale”.
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