Il destino del giudice scelto da Trump per la Corte suprema passa al vaglio della commissione giustizia al Senato poi all'aula dopo la testimonianza della sua prima accusatrice, Christine Blasey Ford
La controversa candidatura alla Corte suprema Usa del giudice Brett Kavanaugh, scelto per questo ruolo da Donald Trump, passa al vaglio del voto della commissione giustizia del Senato.
Nonostante le ripetute richieste dei democratici di rinviare la votazione alla luce delle accuse di aggressioni e abusi sessuali avanzate contro Kavanaugh da tre donne, il leader della maggioranza repubblicana in Senato Mitch McConnell ha annunciato che il voto si terrà come da programma, nella mattinata americana di venerdì. Poi "nei prossimi giorni", probabilmente a metà della prossima settimana, la palla passerà all'aula del Senato. Il voto della commissione giustizia avverrà all'indomani della storica testimonianza resa in Senato dalla prima delle accusatrici di Kavanaugh, Christine Blasey Ford; audizione seguita da quella del giudice, che ha smentito le accuse.
La matematica del voto su Kavanaugh è complessa, dal momento che la maggioranza Gop è risicata e tra le file repubblicane ci sono degli indecisi. La commissione giustizia è composta da 11 repubblicani e 10 democratici, ma almeno uno dei repubblicani, il senatore dell'Arizona Jeff Flake, non ha ancora deciso cosa fare. Quanto all'aula del Senato, i repubblicani hanno una stretta maggioranza di 51 contro 49. Per l'approvazione è sufficiente una maggioranza semplice: se la defezione tra i Gop fosse una sola, si andrebbe al pareggio 50-50 e a salvare i repubblicani ci sarebbe in quel caso il voto del vice presidente Usa Mike Pence; due defezioni fra i repubblicani, invece, potrebbero far deragliare la conferma di Kavanaugh, posto però che il blocco democratico si mantenga compatto, la qual cosa non è ancora certa.
Al momento gli indecisi sono: fra i repubblicani le due senatrici Susan Collins e Lisa Murkowski, nonché il senatore Jeff Flake. Quanto ai democratici: il senatore Joe Manchin, che deve fare i conti con il fatto che è in corsa per la rielezione a novembre in West Virginia, Stato in cui Trump ha vinto con ampio margine; e il senatore dell'Indiana Joe Donnelly, che ha anche lui lo stesso problema. Collins e Murkowski saranno in corsa per la rielezione rispettivamente nel 2020 e nel 2022.
Dopo le audizioni di Ford e Kavanaugh giovedì sera, i senatori indecisi sono stati visti appartarsi per discutere, prima di un meeting più esteso fra repubblicani, ma dopo la riunione Manchin ha riferito che erano ancora indecisi.
Docente dell'università di Palo Alto, oggi 51enne, Blasey Ford accusa il giudice in corsa per la Corte suprema di avere provato a stuprarla durante una festa privata fra liceali in una casa vicino Washington nel 1982, quando lei aveva 15 anni e lui 17. Ford in Senato si è detta "sicura al 100%" che l'assalitore sia Kavanaugh. Lui dal canto suo, testimoniando subito dopo, anche lui sotto giuramento, ha smentito, sostenendo la sua innocenza ma rifiutandosi di appoggiare un'eventuale indagine indipendente dell'Fbi, chiesta invece dalla donna. Il tutto mentre migliaia di manifestanti marciavano per le strade di Washington contro la nomina.
Il voto, dunque, resta ancora in programma. Ma l'American Bar Association, cioè l'Ordine degli avvocati americani, che in un primo momento aveva sostenuto la nomina di Kavanaugh, ha invitato la commissione giustizia del Senato a rinviarlo in modo da permettere una indagine dell'Fbi. Il punto è che i repubblicani vorrebbero incassare la nomina prima delle elezioni di midterm del 6 novembre, quando potrebbero perdere il controllo (attualmente 51 a 49) del Senato. Trump mercoledì a New York aveva lasciato intravedere una piccola apertura alla marcia indietro: non aveva escluso di potere "cambiare idea" nel caso si fosse convinto che Kavanaugh è "colpevole" delle accuse. Dopo l'audizione di giovedì, però, ha ribadito il suo sostegno al giudice con un tweet: "La sua testimonianza è stata potente, onesta, e affascinante", ha scritto, invitando il Senato a votare.
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