La riforma oppone creatori di contenuti, favorevoli, e giganti del web e attivisti della libertà su internet, che sono contrari. Il Pd: "Persa un'occasione"
Il Parlamento europeo ha respinto la riforma europea del diritto d'autore. Sono stati 318 gli eurodeputati a votare contro la misura, 278 quelli che si sono espressi a favore, 31 gli astenuti.
Il voto implica che l'Europarlamento non può avviare negoziati sulla riforma con gli Stati membri e la Commissione. Il testo dovrà essere ridiscusso dagli eurodeputati, prima di essere nuovamente votato nella sessione plenaria di settembre. "Il voto di oggi rappresenta una vittoria per la democrazia", ha commentato il gruppo di pressione EDiMa, che riunisce i Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon) e altri grandi nomi del settore tecnologico.
La pressione – Da mesi una forte pressione è stata esercitata sulla riforma, che oppone creatori di contenuti di tutto il mondo (dal cinema alla stampa alla musica, tra cui di recente Paul McCartney), che sono favorevoli, e giganti del web e attivisti della liberà su internet, che sono contrari. L'obiettivo principale della misura, proposta dalla Commissione europea nel 2016, è modernizzare il diritto d'autore nell'era della rivoluzione digitale, visto che l'ultima legge in merito risale al 2001. L'idea è di obbligare le piattaforme online, come ad esempio YouTube, a pagare meglio i creatori di contenuti e a controllare che ciò che viene pubblicato dagli utenti non sia protetto da copyright (articolo 13).
La riforma – La riforma prevede anche la creazione di un nuovo diritto per gli editori, che permetterebbe a giornali, riviste e agenzie di stampa di farsi pagare quando i loro contenuti vengono riutilizzati online, ad esempio con titoli e brevi estratti (articolo 11). Per i Gafa, così come per gli eurodeputati ecologisti e liberali, e per vari giuristi, questo progetto favorirebbe i gruppi media più noti, a svantaggio dei media indipendenti e delle start-up, con il rischio di danneggiare la libertà d'espressione. Per gli editori, una giusta remunerazione è necessaria perché i media, che hanno un ruolo essenziale nel pluralismo d'informazione, possano sopravvivere.
M5S palude alolo stop – Plaude il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio: "Oggi è un giorno importante, il segno tangibile che finalmente qualcosa sta cambiano anche a livello di Parlamento europeo. In ogni caso, anche qualora il testo fosse passato al vaglio di Strasburgo, ci saremmo battuti in sede di Consiglio". Termina dopo 3 giorni anche la protesta di Wikipedia non è stato accessibile dal 3 luglio in almeno tre Paesi europei, fra cui l'Italia.
Il Pd favorevole alla legge – "Si è persa purtroppo una grande occasione, quella innanzitutto di non lasciarsi intimidire da una massiccia campagna di disinformazione orchestrata sapientemente e finanziata da questi grandi gruppi per difendere lo status quo dietro la scusa di difendere la libertà degli utenti". E' il giudizio di Silvia Costa e Luigi Morgano, i parlamentari europei del Pd che hanno seguito la vicenda: "Ma soprattutto – continuano i due eurodeputati – si perde l'occasione unica che rischia di non ripresentarsi più in questa legislatura di riconoscere il valoro morale e economico del lavoro intellettuale e creativo e il principio di giusta remunerazione per artisti e creativi".
Il testo respinto dal Parlamento, che tornerà in discussione alla prossima Plenaria di settembre con potenziali rischi di peggioramento, "avrebbe chiarito una volta per tutte la responsabilità di quelle piattaforme online che, memorizzando, indicizzando, e quindi sfruttando commercialmente il materiale coperto da copyright, fanno ingenti guadagni col lavoro altrui, senza essere minimamente obbligati a stipulare contratti di licenza coi titolari di diritti, trincerandosi dietro l'esenzione di responsabilità riconosciuta da una normativa obsoleta di ben diciotto anni fa. E' stato rigettato – dicono Costa e Morgano – il nuovo diritto per gli editori di giornali di poter richiedere una giusta remunerazione ai fornitori di servizi online che, facendo uso delle loro pubblicazioni in formato digitale, intercettano e interrompono il fisiologico flusso di click e quindi di risorse provenienti da pubblicità. Ci rammarica il fatto – concludono – che sia passata la bugia della link tax, quando nel testo è chiaramente scritto che i singoli utenti non sono toccati dalla normativa perché non agiscono a fine commerciali e quindi possono continuare a condividere i link. La protesta assurda inscenata da Wikipedia – che ricordiamo era espressamente esclusa dall'ambito di applicazione della direttiva – evidentemente ha centrato l'obiettivo".
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