Il docente Fabrizio Tonello, intervistato da LaPresse, dà la sua lettura dei risultati del Super martedì
Alla luce dei risultati del Super martedì negli Stati Uniti la situazione politica si può sintetizzare come segue: "i favoriti restano favoriti e i non favoriti sperano ancora". Hillary Clinton e Donald Trump restano i due favoriti ma "i loro oppositori hanno raccolto abbastanza consensi da restare in gara". Così Fabrizio Tonello, docente di Politica comparata alla Scuola di economia e scienze politiche dell'università di Padova, spiega a LaPresse la sua lettura dell'esito del voto. Ma a suo parere è inevitabile che Donald Trump vinca la nomination repubblicana perché "il fronte repubblicano non ha un candidato alternativo"; e Tonello non ritiene che Michael Bloomberg si candiderà.
Quali sono gli elementi principali che emergono da questa tornata del Super martedì?
Il Super Tuesday in realtà non ha risolto nulla perché ha lasciato in campo i due grandi favoriti ma i loro oppositori hanno raccolto abbastanza consensi da restare in gara. Probabilmente la situazione sarà più chiara a fine mese, visto che a marzo ci saranno molte primarie. La situazione è questa: i favoriti restano favoriti, i non favoriti sperano ancora.
Sanders ha vinto in quattro Stati. Non sono pochi, non crede?
In realtà i commentatori dell'establishment, molto prima che si votasse, avevano dato già Sanders come un candidato più resistente e solido di quanto non appaia. Lui è molto favorito dal fatto che ha un dominio pressoché completo nel segmento giovanile dell'elettorato democratico, che non a caso si vede in Stati con popolazione universitaria o con un tasso medio di persone con la laurea abbastanza elevato come il Colorado, dove Sanders ha preso quasi il 60% dei voti. Fino a 30 anni non c'è competizione.
Come spiega il successo di Sanders fra i giovani? E Clinton invece?
Hillary Clinton era già alla Casa Bianca nel 1992, quando molti di quelli che oggi votano non erano neanche nati. E quelli che erano nati non avevano sicuramente molte ragioni per apprezzare il fatto di un ritorno di qualcuno che è in politica da un quarto di secolo. Se una persona dà una valutazione non positiva della propria situazione personale, della situazione del Paese e delle opportunità che gli Stati Uniti possono offrire ai giovani, chiaramente non ha motivo per votare Hillary Clinton. Ma per Sanders il problema è che l'elettorato democratico è molto squilibrato a favore delle minoranze etniche, e Hillary ha presa solida sull'elettorato afroamericano. Quello che i giovani fanno per Sanders gli afroamericani lo fanno per Hillary, come si è visto soprattutto in South Carolina e negli altri Stati del sud. Questa è una grande forza di Clinton, un controllo di un blocco elettorale di voti su cui Sanders incide poco.
Pensa che Trump abbia effettivamente la possibilità di riuscire a ottenere la nomination repubblicana? Ritiene che da parte dell'establishment possa esserci la volontà di intervenire per fermarlo?
Gli altri candidati repubblicani sono poco credibili, poco carismatici, quindi di fatto il fronte repubblicano non ha un candidato alternativo a Trump. L'establishment repubblicano è composto da molte persone, stiamo parlando di alcune migliaia di persone: ci sono i finanziatori, i tecnici, gli esperti e poi naturalmente deputati, senatori e governatori. In questo establishment ci sono due posizioni diverse, una maggioritaria e una minoritaria: la posizione maggioritaria è 'fermiamo Trump in qualche modo', solo che la ricetta non è stata ancora stabilita; la posizione minoritaria ma in crescita, come dimostra l'endorsement del governatore del New Jersey Chris Christie e di Sarah Palin, è 'se Trump ci può far vincere, ben venga Trump'. Il calcolo che fa questa minoranza, per adesso piccola dell'establishment repubblicano, è che prima o poi bisognerà saltare sul carro del vincitore e meglio prima che poi. Quindi la mia interpretazione è che ci sono solo due soluzioni: o Trump arriverà alla convention di Cleveland con la maggioranza numerica di delegati e allora i giochi sono fatti; oppure ci arriverà con un numero di delegati molto elevato, ma non la maggioranza, e in quest'ultimo caso ci potranno essere dei tentativi last minute di fermarlo. Ma non penso che riusciranno ad aggregarsi su un candidato maggioritario alternativo a Trump, invece credo che ci potrebbe essere lo spettacolo di una convention divisa, ma che alla fine nominerà Trump.
Pensa che l'ex sindaco di New York Michael Bloomberg possa decidere di scendere in campo?
Penso che Bloomberg non si presenterà. Per la semplice ragione che nessun candidato di un terzo partito ha mai vinto le elezioni, nemmeno Teddy Roosvelt, quindi non sarà Bloomberg a cambiare questa tradizione politica.
Qual è la chiave del successo di Trump?
Occorre considerare vari elementi favorevoli. In primo luogo Trump sta dimostrando un fiuto politico molto maggiore rispetto ai suoi avversari perché è sceso in campo al momento giusto cioè in un anno in cui c'era un forte rigetto nei confronti dei candidati dell'establishment; in secondo luogo ha uno stile che è più adatto al momento, al luogo e ai media. Trump ha costruito la sua fortuna nei sondaggi con dichiarazioni totalmente oltraggiose che però suscitavano l'interesse dei mass media che parlavano di lui, continuano a parlare di lui e continueranno a parlare di lui. E poi ha trovato l'interlocutore, cioè questa base repubblicana molto frustrata da sette anni di presidenza Obama, soprattutto frustrata dal fatto che il partito in questi sette anni non ha combinato niente: è riuscito a paralizzare il Paese conquistando il controllo del Congresso ma non ha ottenuto nessuna delle cose che ogni giorno ripeteva di volere ottenere, per esempio la riforma sanitaria è rimasta in vigore e i matrimoni gay sono stati approvati dalla Corte suprema. C'è una fortissima frustrazione da parte della base repubblicana, che Trump è abile a sfruttare.
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