Intervista al direttore generale dell'organizzazione che fa il punto su un anno di conflitti e contraddizioni crescenti

"Il 2015 è stato un anno buio sul fronte del rispetto dei diritti umani". Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia, spiega a LaPresse perché l'organizzazione è più preoccupata che in passato e lancia una stoccata profondissima alla comunità internazionale: si piega al compromesso e "resta inerme", dice, con l'unico obiettivo di "arrivare al prossimo appuntamento elettorale". Un attacco pesante, sul fronte migrazioni, lo rivolge alla Turchia, che trattiene i rifugiati alla frontiera: "Fa il lavoro sporco della Libia di Gheddafi".

Che anno è stato il 2015?

E' stato un anno nero per i diritti umani nel mondo. Un anno di conflitti crescenti, con crimini contro l'umanità, massacri, genocidi dietro l'angolo, che stanno per spuntare in molte parti dell'Africa. Con gli stessi Paesi occidentali che con le loro azioni militari bombardano indiscriminatamente i civili, gli ospedali, le scuole. In una perdita di moralità che investe tutto il mondo. E' stato un anno di impotenza della comunità internazionale che non ha saputo reagire minimamente a quello che succede, né prendere delle misure. per contrastare questi fenomeni, fermare i conflitti e le stragi.

Perché in passato la comunità internazionale è intervenuta con più efficacia e oggi non riesce a far sentire la propria voce?

Difficile dirlo. E' cambiata la qualità del personale politico, che fino a 20 anni fa sentiva la necessità di far fede ad alcuni principi fondamentali, nelle relazioni internazionali e umane. Oggi è più indifferente, più cinica. La prospettiva 'corta', degli interessi immediati prevale su quella 'lunga' della storia. Oggi la politica non lavora per dei cambiamenti storici, ma per arrivare al prossimo appuntamento elettorale. Credo che questo riduca di molto la capacità dei leader politici di intervenire ad alto livello mantenendo alto il livello etico. Questo avviene a costo di violazioni, indifferenza verso quello che succede, tolleranza per comportamenti inaccettabili.

Sul fronte migrazioni, lei sostiene che la Turchia sia diventata la Libia dei nostri giorni, che stia facendo il 'lavoro sporco' che faceva la Libia. In che senso?

La Turchia riceve finanziamenti cospicui dalla Commissione europea per trattenere i rifugiati alla frontiera o al massimo nel proprio territorio, per non farli arrivare in Europa. E' un'azione molto simile a quella che fece la Libia quando l'Italia chiese a Gheddafi di impedire le partenze dalle coste libiche dei migranti e dei rifugiati, che venivano rinchiusi in campi di contenimento, vorrei dire in campi di concentramento, sul territorio libico e la Libia faceva il lavoro sporco per l'Italia.

Pensa che il migrante sia merce di scambio per questo travagliato ingresso della Turchia nell'Unione europea?

Non voglio fare ipotesi politiche di questo genere, ma il lavoro politico che la Turchia sta facendo in questo momento ha una funzione specifica ed è sostenuta dai Paesi europei per questo motivo: non vogliono vedere i rifugiati sul territorio europeo, ed è la Turchia che li trattiene.

Amnesty ha lanciato una campagna, 'Verità per Giulio Regeni'. Cosa chiedete all'Egitto?

Vogliamo sapere perché è morto questo ragazzo. Chi è stato responsabile della sua uccisione e delle torture che ha subito prima di essere ucciso.

Amnesty non crede alla tesi dell'incidente stradale, sostenuta dalla polizia egiziana?

Mi sembra una tesi insostenibile. Ci sono prove chiare che Giulio è stato sottoposto a tortura, picchiato ripetutamente e che è stato ucciso con la violenza.

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