Duecento chilometri di barriere e fossati contro infiltrazioni jihadisti
Tunisia e Libia sono ora separate da un muro. È stata infatti completata una barriera di separazione lungo i 200 chilometri di confine che i due Paesi condividono, la cui costruzione era stata annunciata dal premier tunisino Habib Essid l'8 luglio scorso come iniziativa per impedire l'ingresso di terroristi. Quell'annuncio era giunto dopo l'assalto del 18 gennaio del 2015 al museo del Bardo a Tunisi, in cui sono morte 22 persone tra cui quattro turisti italiani. Da allora si sono verificati in Tunisia altri due attacchi terroristici di grande portata: cioè quello del 26 giugno sulla spiaggia di Sousse e del 24 novembre a un bus della Guardia presidenziale nel centro di Tunisi. E le autorità di Tunisi sono convinte che la barriera possa aiutare a fermare l'infiltrazione di jihadisti in territorio tunisino.
"Abbiamo terminato questa barriera, che aiuterà a proteggere la nostra frontiera e fermare qualsiasi tipo di minaccia" proveniente dalla Libia, ha annunciato il ministro della Difesa tunisino, Farhat Hachani, visitando ieri la zona militare tampone alla frontiera. Non si tratta di un muro nel senso proprio del termine, ma il concetto è quello: lungo il confine si alternano fossati, barriere erette con la sabbia e parti di filo spinato.
Il passo successivo sarà quello di collocare telecamere di sorveglianza e sistemi radar di allerta elettronica: per installare questo tipo di sistemi e per addestrare le squadre che dovranno gestirli il ministero della Difesa tunisino si rivolgerà a Stati Uniti e Unione europea, Germania in particolare.
Negli ultimi mesi si sono verificati diversi episodi di infiltrazioni di presunti jihadisti e contrabbandieri di armi e altri prodotti in Tunisia dal deserto libico, oltre che dalla frontiera montuosa con l'Algeria. Ma più che questo, ciò che sottolinea il governo tunisino per giustificare il progetto del muro Tunisia-Libia è soprattutto che gli autori dei due attentati del 2015 che hanno sconvolto il Paese – quelli del Bardo e di Sousse, in cui hanno perso la vita 60 turisti – erano tunisini che si erano addestrati in Libia ed erano entrati e usciti dalla Tunisia in modo illegale grazie alla porosità del confine. Oltre al fatto – evidenzia il governo – che la Libia è un Paese immerso nel caos e nella guerra civile da quando la comunità internazionale ha contribuito a far cadere la dittatura di Muammar Gheddafi.
E nel caso di un intervento occidentale in Libia la Tunisia ritiene che la barriera potrebbe essere d'aiuto a contenere gli ingressi di terroristi, che potrebbero infiltrarsi fra i libici che probabilmente si riverserebbero in Tunisia. Non va dimenticato che in Libia si trovano centinaia di combattenti tunisini unitisi alle file della branca locale dello Stato islamico. La Tunisia, insieme alla Francia, è il Paese da cui partono più volontari per unirsi allo Stato islamico (ex Isil o Isis) in Siria e Iraq, con circa 3mila combattenti partiti secondo le stime ufficiali e 6mila stando agli esperti. Dei terroristi addestratisi all'estero si ritiene che circa il 15% sia rientrato da Siria e Iraq e abbia trovato rifugio in Libia, dove si è rifugiato anche il gruppo tunisino Ansar al Sharia, o in Tunisia in zone come i monti della regione di Kasserine, vicino al confine con l'Algeria.
Il 12 luglio scorso, a pochi giorni dall'annuncio di Essid che il muro sarebbe stato costruito, il governo libico di Tripoli (cioè quello non internazionalmente riconosciuto) aveva definito la decisione un atto ostile. Nel criticare "una decisione unilaterale che suppone una flagrante violazione della sovranità nazionale libica", Tripoli aveva avvertito che la sua piattaforma armata, cioè le milizie 'Alba della Libia' o 'Fajer Libya', si riservava "il diritto di intervenire in ogni momento e luogo", affermando che Tunisi "deve definire in coordinamento con le autorità libiche i limiti di frontiera affinché non sembri né un'aggressione né un'occupazione". Forse proprio tenendo in considerazione questa minaccia – vista anche la situazione di instabilità della Libia in cui non è ancora stato formato il governo di unità nazionale del premier designato Fayez Serraj – il ministro della Difesa tunisino Horchani ha sottolineato la volontà di mantenere buoni rapporti con la vicina Libia, esprimendo il proprio dissenso rispetto all'ipotesi di un intervento militare nel Paese. La Tunisia non farà ricorso alle armi contro la Libia e non vi intraprenderà alcun intervento militare perché crede ai mezzi pacifici per risolvere i conflitti, ha affermato Horchani ai microfoni di Radio Tataouine a margine della visita lungo il muro alla frontiera.
Dalla cosiddetta 'Rivoluzione dei gelsomini' del 2010-2011 con cui è stato cacciato Zine el Abidine Ben Ali dopo 23 anni al potere, la Tunisia è stata elogiata come modello di transizione democratica, dal momento che ha tenuto elezioni democratiche e ha approvato una nuova Costituzione. Il Paese deve fronteggiare però due problemi principali: la minaccia terrorismo, considerando che la Tunisia è stata colpita da tre attacchi di grandi dimensioni nel 2015 e da qui parte come si diceva il maggior numero di combattenti che ingrossano le fila dell'Isis; e in secondo luogo le gravi difficoltà economiche, considerando sia il fatto che gli attacchi hanno inferto un duro colpo al settore trainante del turismo, sia che nel Paese permangono enormi differenze fra zone costiere sviluppate e zone interne impoverite e che la disoccupazione è a livelli molto alti. Per questo nel Paese proseguono da metà gennaio le proteste partite dalla regione interna di Kasserine per la rivendicazione del diritto al lavoro.
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