60 le persone morte nell'attentato nel quartiere sciita, decine i feriti
L'attentato con cui lo Stato islamico ha ucciso 60 persone in una zona sciita di Damasco non ha colpito solo la Siria, ma anche i colloqui con cui l'Onu a Ginevra vuole far negoziare le parti coinvolte nel conflitto. Appelli a non lasciare che l'attacco faccia naufragare i colloqui, i primi in due anni, sono arrivati da più parti, tra cui l'Unione europea e gli Stati Uniti. Intanto, a Ginevra si è svolto il primo incontro tra l'inviato speciale Onu, Staffan de Mistura, e l'opposizione. Secondo i dati delle Nazioni unite, in quasi cinque anni di guerra sono morte 260mila persone, mentre più di 12 milioni di siriani di cui 5,5 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria immediata.
L'attentato rivendicato dall'Isis è avvenuto nel distretto di Sayida Zeinab della capitale siriana, zona a maggioranza sciita dove si trova la tomba di Zaynab, nipote del profeta Maometto. L'area, dove è forte la presenza del movimento Hezbollah alleato al regime, è meta di pellegrinaggio per gli sciiti, che per visitarla arrivano anche da Iran, Libano e altri Paesi. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 60 persone sono state uccise, di cui 25 combattenti sciiti, schierati a fianco del presidente Bashar Assad. Il bilancio pare però destinato ad aumentare a causa dei molti feriti. Il ramo siriano dello Stato islamico ha rivendicato con un comunicato diffuso su internet, in cui ha detto di aver colpito "un covo di apostati politeisti". Il gruppo estremista, che controlla ampie zone della Siria, rappresenta uno dei maggiori ostacoli ai tentativi di mettere fine al conflitto civile in corso in Siria. Una fonte anonima del Consiglio dei ministri di Damasco ha condannato l'attentato definendolo "codardo", attraverso l'agenzia di Stato Sana. E ha puntato il dito contro i Paesi che appoggiano il terrorismo, pur non facendone i nomi.
Intanto, da Ginevra il capo della delegazione del governo, Bashar Jaafari, ha dichiarato che l'attentato dimostra il legame tra l'opposizione e i terroristi. I colloqui indiretti tra i rappresentanti del regime e dell'opposizione ancora non sono iniziati, mentre entrambe le parti hanno messo in dubbio che possano davvero prendere il via, dopo giorni di ritardi e a causa delle radicate sfiducia e divergenze. Jaafari ha accusato la delegazione dell'opposizione di mancanza di serietà e di essere legato alle violenze sul campo, e ha detto che Damasco non accetterà "alcuna precondizione". La sua è una sorta di risposta all'opposizione – di cui fanno parte gruppi armati ribelli -, la quale chiede che alcune condizioni siano realizzate prima che si intavoli un dialogo, come segno di buona volontà. Tra esse, che il regime consenta l'accesso degli aiuti umanitari nelle aree assediate, metta fine ai bombardamenti sulle zone civili e liberi i detenuti politici, soprattutto donne e bambini. Altrimenti, l'opposizione minaccia di lasciare Ginevra. In risposta, Jaafari ha sottolineato che il governo pensa a corridoi umanitari, cessate il fuoco e scarcerazioni, ma ha lasciato intendere che questi potrebbero essere la conseguenza e non la premessa dei negoziati.
Oggi intanto Mohamed Alloush, negoziatore del gruppo ribelle Jaish al-Islam (Esercito dell'Islam), ha annunciato a Reuters la propria partenza per Ginevra, intenzionato a "dimostrare" che le autorità siriane non vogliono alcuna soluzione politica. Damasco e l'alleata Russia considerano Jaish al-Islam un gruppo terroristico, quindi non lo ritengono un interlocutore. Già il Comitato supremo per i negoziati che rappresenta l'opposizione era arrivato in Svizzera con ritardo, dopo che venerdì aveva detto che non avrebbe preso parte ai colloqui, iniziati dunque con i soli delegati del regime. Ma, dopo le pressioni di Usa e altri, i rappresentati del Comitato sono arrivati ieri in Svizzera. Esortazioni perché i colloqui proseguano nonostante le diversità di posizioni e l'attentato di Damasco sono arrivate da più parti. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha spinto ad andare avanti sottolineando che "non esiste soluzione militare al conflitto". Analogo l'appello dell'alta rappresentante per la Politica estera dell'Unione europea, Federica Mogherini, secondo cui l'attentato di Damasco voleva impedire i negoziati, "probabilmente l'unica opportunità di mettere fine al conflitto". Anche il segretario generale Onu, Ban Ki-moon, ha lanciato un accorato appello: "Chiedo a tutte le parti di mettere il popolo siriano nel cuore delle discussioni e sopra gli interessi di parte".
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