Il Nobel per la Pace al Quartetto del dialogo nazionale tunisino è un riconoscimento all'intero "processo democratico" della Tunisia e all'opera fatta "non solo dal Quartetto, ma da tutte le forze vive del Paese e naturalmente dai martiri della rivoluzione". A parlare è il sindaco di Tunisi, Seifallah Lasram, a Torino in occasione del Forum mondiale dello sviluppo economico locale. In un'intervista a LaPresse a margine dell'evento il primo cittadino, in passato direttore generale dell'Office national du tourisme che dipende dal ministero del Turismo, ripercorre tutte le difficoltà del Paese dalla rivoluzione a oggi, passando per gli attacchi del Bardo e di Sousse.
La rivoluzione è stato "un terremoto" ma il percorso democratico non è "un colpo di magia", anzi richiede "lavoro, sudore e lacrime", afferma. Lasram lancia un appello a mostrare solidarietà internazionale verso la Tunisia, sia con gli investimenti stranieri che con il turismo. Il sindaco di Tunisi incoraggia i turisti ad andare nel Paese dei gelsomini, ricordando che un Paese "a rischio zero" non esiste. Si mostra ottimista e vede un ruolo particolare dell'Italia, "da sempre molto vicina". "Attualmente la nube è là, non bisogna negarlo, ma si dissiperà molto presto ", dice fiducioso a proposito delle difficoltà legate a terrorismo e sicurezza.
Il Nobel per la Pace 2015 è stato assegnato il 9 ottobre scorso al Quartetto tunisino di dialogo nazionale. Che valore ha questo premio? Potrà avere anche delle ricadute economiche?
Se la Tunisia è stata scelta fra altri, è perché l'opera che è stata fatta dal Quartetto è degna di nota. Però non è stata fatta solo dal Quartetto, ma da tutte le forze vive del Paese e chiaramente dai martiri della rivoluzione, che hanno pagato con il loro sangue il prezzo della rivoluzione. È un riconoscimento al processo democratico che ha conosciuto il Paese. Nel 2011 abbiamo parlato di Primavera araba: bene, la Primavera si riduce oggi alla semplice espressione della Tunisia, con una Costituzione all'avanguardia e delle elezioni democratiche, un Paese oggi governato da persone scelte dal popolo per un periodo determinato e in cui tutti accettano la via dell'alternanza, in cui domani ci saranno nuove elezioni e nuovi governanti. Se guardiamo le dichiarazioni dei principali capi di Stato che hanno salutato il premio, penso che il Nobel possa essere una ragione supplementare per gli investitori, i turisti e per tutte le istituzioni, per sapere ancor più che il percorso tunisino è riconosciuto dal punto di vista mondiale. Aiuterà? Me lo auguro, ma lasciamo decidere al tempo.
Dopo la rivoluzione in Tunisia si avverte delusione, perché molte delle istanze del 2011 non hanno ancora ricevuto risposta.
La Tunisia con la rivoluzione ha vissuto un vero terremoto. C'è stata l'euforia della rivoluzione, c'era un regime autoritario che guidava il Paese ed è scomparso di colpo sotto la pressione popolare. Ma non si può passare da una situazione all'altra con un colpo di magia: non c'è un colpo di magia, ci sono lavoro, sudore e lacrime, è così che si costruisce un Paese. Da parte di alcuni c'è impazienza perché non vedono cambiare le cose subito, ma questo non è mai avvenuto in nessun Paese. Bisogna sapere che la Tunisia, nonostante gli aiuti che ha dai suoi amici, vive sulle sue capacità, che non sono enormi, dunque serve tempo per cambiare le cose.
Nell'attacco del 18 marzo al museo del Bardo a Tunisi morirono anche quattro turisti italiani. Pensa che questo abbia cambiato qualcosa nei rapporti con l'Italia? Qual era l'obiettivo degli attacchi del Bardo e di Sousse?
Siamo da sempre molto vicini all'Italia e questo non è cambiato dopo il Bardo, perché le autorità italiane, ma anche il popolo italiano, comprendono bene che gli atti terroristici che purtroppo il mondo vive non sono un movimento specifico della Tunisia: è un problema internazionale che ha base un po' ovunque e che ha l'obiettivo, forse non dichiarato ma reale, di creare scompiglio nelle relazioni internazionali. L'attentato del Bardo ha fatto diverse vittime, di più nazionalità, ma anche tunisine, cosa che forse molti non sanno. Quindi siamo insieme in questa sciagura e questi atti di terrorismo, sotto forme differenti, hanno colpito Tunisia, Francia, ultimamente la Turchia, nonché Paesi come Libia, Iraq, Siria e prima ancora l'Afghanistan. Questo fenomeno internazionale, questa violenza internazionale, non è specifica di un Paese o di un altro e soprattutto non del popolo tunisino. Colpendo al Bardo e a Sousse i terroristi hanno voluto passare il messaggio che l'obiettivo era di sgretolare le relazioni esemplari che ha creato il nostro Paese, il Paese che ha scelto di fare una rivoluzione saggia per instaurare la democrazia, per assicurare uno sviluppo migliore a tutte le regioni e città del Paese.
Cosa ha già fatto la Tunisia in risposta agli attacchi e cosa si può ancora fare?
Sul piano nazionale questi attacchi terroristici hanno rafforzato la solidarietà nazionale. Ciò che serve sono solidarietà nazionale e anche internazionale, in modo da dare alla Tunisia i mezzi per realizzare i suoi obiettivi democratici. Quello che è cambiato già, invece, è che siamo diventati più vigilanti per assicurare sia la nostra sicurezza, sia quella dei nostri ospiti. Più vigilanti a livello di frontiere, di sicurezza in genere, delle istituzioni, degli hotel.
Si sentirebbe di incoraggiare i turisti a venire in Tunisia a livello di sicurezza?
Naturalmente incoraggio i turisti a venire. Per due ragioni: in primo luogo perché chiunque viene fa un atto di solidarietà verso il Paese; ma in secondo luogo anche perché, se c'è un Paese dove esiste il pericolo zero, apprenderemo la lezione e faremo uguale. Noi ci facciamo garanti, nei limiti del possibile, che la sicurezza regni. Gli italiani sono stati da tempo clienti fedeli in termini di turismo in Tunisia. Attualmente la nube è là, non bisogna negarlo, ma si dissiperà presto.
Quali sono le tre sfide principali che la Tunisia ha davanti? E come si possono affrontare?
In primo luogo la sfida della sicurezza. Sulla frontiera la situazione della Libia non è ancora tranquilla: al confine con l'Algeria almeno abbiamo un Paese stabile che ha delle istituzioni, un governo e sta facendo uno sforzo a livello di gestione dei suoi affari, ma la Libia è un Paese in cui ci sono più teste e più governi, quindi non c'è stabilità e ci possono essere ripercussioni sul nostro Paese. La seconda sfida è quella della lotta contro disoccupazione. La creazione di impiego metterà in sicurezza molte famiglie e per potere creare lavoro servono investimenti. La Tunisia è nota per essere un Paese in cui ci sono molte industrie europee: italiane, tedesche, francesi, spagnole. Incoraggiando gli investimenti nel nostro Paese e incoraggiando il settore turistico, la macchina economica dello sviluppo si metterà in cammino più rapidamente e potrà portare prosperità. Non c'è niente di meglio della prosperità per combattere l'oscurantismo. A proposito degli investimenti stranieri presto verrà presentato all'Assemblea nazionale un nuovo disegno di legge che offrirà nuovi vantaggi a chi viene da noi. Infine, la terza sfida è che bisogna assolutamente che la Tunisia di oggi guardi alle zone dell'interno che non hanno beneficiato né dello sviluppo che ha conosciuto il Paese, né della distribuzione equa della ricchezza. Per esempio penso a Sidi Bouzid, a Kasserine, alla regione dei fosfati, al sud in generale, dove si è espresso per la prima volta il malcontento della popolazione verso il vecchio regime. Per queste regioni ci vuole un progetto di sviluppo.
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