Roma, 26 lug. (LaPresse) – Mentre il governo cinese finanzia un’indagine che sembra dimostrare che i social media sono la principale causa di divorzio, studi indipendenti mostrano che i livelli di censura applicati da Pechino proprio su questi canali continuano a essere elevati. Facebook e altre popolari piattaforme di social media, quali Twitter, YouTube e Flickr in Cina sono bloccate.

Dal 2013, l’equivalente cinese di Twitter, ‘Weibo’, ha cessato di essere il luogo del dissenso al regime in rete: troppe censure e oscuramenti anche di semplici retweet. A raccogliere il testimone di Weibo – come documenta uno studio appena pubblicato dal Citizen Lab di Toronto – è stato il servizio di messaggistica ‘WeChat’. In un primo momento sembrava che la nuova piattaforma social riuscisse a sfuggire più agevolmente alla censura, ma proprio lo studio canadese dimostra che non è così.

Il centro di ricerca, famoso per aver anticipato buona parte delle problematiche sollevate dai prodotti di Hacking Team, ha scaricato 36mila post da 10,5mila profili pubblici cinesi tra giugno 2014 e marzo 2015, per poi monitorarli nel tempo e osservare quali sono stati rimossi.

Apparentemente, lo studio mostra che ‘WeChat’ è meno controllato di ‘Weibo’ – la quota di post censurati sul primo è di circa il 5%, contro percentuali tra il 13 e il 16% riportate per il secondo – ma, visto che il 30% dei post viene rimosso entro la prima mezz’ora dalla pubblicazione, per i ricercatori è stato difficile intercettare proprio tutti i post eliminati e, pertanto il tasso di censura potrebbe essere sottostimato.

Lo studio evidenzia anche che le parole chiave sensibili, attinenti al campo della ‘politica’ o della ‘corruzione’, si trovano in una maggiore percentuale di messaggi censurati rispetto agli altri post. Un’analisi più approfondita rivela che opinioni, speculazioni e commenti politici sono sistematicamente cancellati.

L’analisi dei contenuti rimossi segnala una strategia ben definita della censura governativa: quella – come spiegano i ricercatori canadesi – di impedire il diffondersi di post che possano scatenare un’azione collettiva’. La quota maggiore di messaggi censurati, infatti, contiene parole collegate a proteste.

I post contenenti parole chiave tradizionalmente soggette a censura in Cina, come ‘4 giugno’, l’anniversario della tragedia di piazza Tienanmen, e ‘Falun Gong’, il culto inviso al partito dagli anni ’90, sono assenti perchè filtrati in automatico prima di essere pubblicati. La motivazione standard data da ‘WeChat’ per i post censurati – spiega lo studio di Citizen Lab Toronto – è chiara: “Il contenuto è stato segnalato da diversi utenti e non siamo in grado di mostrarlo”. Diversa quella che veniva data da ‘Weibo’, che parlava di “violazione delle regole della community o della legge”.

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