Gerusalemme, 16 mar. (LaPresse/Xinhua) – Se il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nelle elezioni di domani riuscirà a farsi rieleggere per il terzo mandato consecutivo (il quarto non consecutivo da premier) batterà il record di fondatore e primo capo di governo dello Stato ebraico, David Ben Gurion. Secondo gli ultimi sondaggi, non si può escludere tuttavia che il politico 65enne sarà battuto da Isaac Herzog, leader del partito di centro Unione sionista.
GLI STUDI NEGLI USA E GLI ANNI NELL’ESERCITO. Netanyahu, nato a Tel Aviv, è figlio dello storico Benzion Netanyahu, membro del Partito revisionista sionista, sostenitore dell’idea del ‘Grande Israele’, che doveva estendersi tra il Mediterraneo a ovest e il fiume Giordano a est. Quando era adolescente, la sua famiglia si trasferì per alcuni anni negli Stati Uniti. Dopo aver finito la scuola superiore Netanyahu tornò in Israele e si arruolò nell’esercito. Il futuro premier prestò il servizio militare in un’unità di combattimento e partecipò a numerose operazioni, rimanendo ferito più volte. Successivamente ritornò negli Usa, dove si laureò in architettura e business al Massachusetts Institute of Technology, e in scienze politiche all’università di Harvard. Dopo la laurea lavorò per Boston Consulting Group e per un certo periodo fu collega dell’ex candidato repubblicano alla Casa Bianca, Mitt Romney.
LA MORTE DEL FRATELLO E L’AVVICINAMENTO ALLA POLITICA. Nel 1976 suo fratello Jonathan fu ucciso mentre comandava un’unità delle forze speciali durante un’operazione di salvataggio di ostaggi israeliani in Uganda. Dopo la morte del fratello, Netanyahu divenne sempre più coinvolto nella politica e iniziò a lavorare come ricercatore su questioni antiterroristiche. In quel periodo si rafforzarono le sue posizioni a favore del neoliberismo, della proprietà privata e del mercato libero. Tra il 1982 e il 1984 lavorò nell’ambasciata di Israele a Washington, mentre dal 1984 al 1988 fu ambasciatore dello Stato ebraico alle Nazioni unite. In quel periodo scrisse alcuni libri sul terrorismo e su un futuro conflitto tra Israele e l’Iran.
IL 1° MANDATO DA PREMIER DAL 1996 E LA QUESTIONE PALESTINESE. Alla fine degli anni ’80 divenne membro del partito Likud e successivamente si oppose con forza agli accordi di Oslo, che sancirono la creazione dell’Autorità nazionale palestinese. Nel 1996, a seguito di un’ondata di attacchi terroristici lanciati da assalitori palestinesi contro obiettivi israeliani, Netanyahu fu eletto premier per la prima volta, sconfiggendo Shimon Peres, l’ex presidente e leader del Partito laburista. Sebbene sostenesse la linea dura con i palestinesi, nel 1998 negoziò con l’Anp e firmò il Memorandum di Wye River, per l’attuazione del precedente accordo ad interim del 1995. Netanyahu dichiarò allora le sue linee rosse: no al ritiro dalle alture del Golan occupate da Israele nel 1967, nessun cambiamento nello status di Gerusalemme e no ai negoziati con condizioni prestabilite. La firma del memorandum contribuì alla sua sconfitta nelle elezioni del 1999, vinte da Ehud Barak del Partito laburista. In una delle sue dichiarazioni più memborabili di quel periodo, Netanyahu dichiarò che gli israeliani di sinistra avevano “dimenticato cosa significasse essere ebrei”.
IL 2° MANDATO DA PREMIER DAL 2009 E LA QUESTIONE DELL’IRAN. Dopo un breve ritiro dalla vita politica, nel 2003 divenne ministro delle Finanze nel governo di Ariel Sharon. Fu criticato per aver tagliato le sovvenzioni alle famiglie a basso reddito, per aver esteso le privatizzazioni e per avere adottato riforme a favore della liberalizzazione. Nel 2005 lasciò il governo di Sharon a seguito del piano di disimpegno israeliano dalla Striscia di Gaza. Fu leader dell’opposizione fino al 2009, quando fu eletto per sostituire Ehud Olmert, accusato di corruzione. Nel suo secondo mandato da premier tra il 2009 e il 2013 si concentrò principalmente sulla questione dell’Iran, mettendo in evidenza i rischi che una Repubblica Islamica dotata di armi nucleari avrebbe costituito per Israele. Il suo governo spese oltre 11 miliardi di dollari in preparativi per un potenziale conflitto con Teheran.
LA SOSPENZIONE DEI NEGOZIATI CON I PALESTINESI NEL 2014. Per quanto riguarda la questione palestinese, in un discorso del 2009 Netanyahu espresse una posizione decisamente meno aggressiva, dichiarando il proprio sostegno a una soluzione a due Stati. Successivamente ha però cercato di fare un passo indietro da quelle affermazioni, accusando i palestinesi di essere responsabili dell’attuale impasse diplomatica. Ad aprile del 2014, dopo la creazione del governo di unità palestinese composto da al-Fatah e Hamas, il suo governo ha sospeso gli ultimi negoziati con i palestinesi, che erano cominciati a luglio del 2013. Di seguito il premier ha assunto una posizione dura nei confronti dell’Anp, accusando il governo del presidente Mahmoud Abbas di aver incitato attacchi contro gli israeliani. I palestinesi hanno a loro volta accusato il governo dello Stato ebraico di aver portato al fallimento dei negoziati continuando le costruzioni di insediamenti nei territori occupati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
IL 3° MANDATO DA PREMIER E LA GUERRA A GAZA DELL’ESTATE 2014. Nel suo terzo mandato da premier, iniziato nel 2013, Netanyahu ha ridotto la cooperazione fra Israele e l’Anp, e ha promosso una legge che definisce Israele “lo Stato della nazione ebraica”. Dopo che il 2 gennaio scorso le autorità palestinesi avevano presentato la richiesta di adesione alla Corte penale internazionale (Cpi), il governo israeliano ha congelato il trasferimento dei soldi provenienti dalle tasse. Nelle precedenti elezioni Netanyahu si era presentato come un falco in grado di affrontare il peggioramento della situazione di sicurezza. L’estate scorsa il suo governo ha condotto nella Striscia di Gaza un’operazione durata 50 giorni, denominata ‘Margine protettivo’, in cui hanno perso la vita più di 2.200 palestinesi e oltre 72 israeliani, perlopiù soldati. La posizione del premier è stata intaccata recentemente a seguito di un’ondata di attacchi lanciati da assalitori palestinesi a Gerusalemme, Tel Aviv e in Cisgiordania, ma anche a causa di continui episodi di scontri fra manifestanti palestinesi e le forze di sicurezza israeliane, e di attacchi lanciati da coloni ebrei.

