Di Elena Fois
Roma, 15 feb. (LaPresse) – “Stavo tornando da casa di amici che abitano a Østerbro, il quartiere dove c’è stata la prima sparatoria. C’erano poliziotti armati e auto della polizia su tutto il percorso. Noi abitiamo a Nørrebro, la zona in cui abitava anche l’attentatore e dove è poi stato ucciso. Ho appreso la notizia dal sito della tv danese; raccontavano dell’attentato a Krudttønden e del fatto che il terrorista era in fuga dopo avere abbandonato la macchina. Prima di andare a letto, verso l’una – stavo guardando Sanremo – gli aggiornamenti dal sito danese raccontavano della seconda sparatoria, quella alla Sinagoga”. Francesca Astori è uno dei circa 5500 italiani che vivono in Danimarca. Sedici anni fa si è trasferita con il marito danese a Copenaghen, dove lavora come cuoca in un asilo. I due attentati di ieri, che hanno causato la morte di due persone e 5 feriti – racconta a LaPresse – hanno ovviamente creato il panico. “I danesi sono sotto choc – dice Francesca – non era mai successo niente del genere e quindi immagino che sotto la facciata di tranquillità ci siano tante domande”.
Eppure, nonostante la paura, “il quartiere ha reagito serenamente. Oggi – spiega – la gente era in giro, i bambini si sono mascherati per il Carnevale. L’unica differenza rispetto al solito è stata la presenza dei poliziotti che pattugliano la zona. Nel pomeriggio hanno perquisito alcune abitazioni e dei locali. Per il resto, tutto tranquillo”.
Ieri sera, ricorda Francesca, le forze dell’ordine raccomandavano di non andare in giro per la città, ma tutto apparentemente sembrava tranquillo, “se escludiamo – racconta – il disagio dato dalla chiusura della stazione dei treni di Nørreport, sempre molto frequentata. Per tutta la notte abbiamo sentito le sirene della polizia e stamattina ho letto la notizia dell’uccisione del terrorista, avvenuta molto vicino a casa mia”.
Proprio il quartiere di Nørrebro, spiega, “è stato per lungo tempo considerato una zona difficile e pericolosa, data la sua reputazione di ghetto per immigrati. Questo a partire dagli anni ’90, prima era un quartiere operaio. Negli ultimi dieci anni c’è stata una forte valorizzazione, sia dal punto di vista culturale (attività sportive e musicali per i ragazzi, festival, manifestazioni) sia sociale (mutui e affitti agevolati per attività commerciali nelle zone più deboli del quartiere, progetti di inclusione nelle scuole e negli asili). Questo ha creato certamente più possibilità per tutti, ma anche una reazione di appartenenza culturale ‘altra’ più marcata; se vogliamo, un Islam Pride”.
“La paura del terrorismo – dice ancora Francesca – c’è e se ne parla”. Dopo la tragedia di Charlie Hebdo, l’Isis non è sembrato più così lontano nemmeno ai danesi. “Io ho dei colleghi musulmani – spiega – che sottolineano ogni volta quanto l’Islam sia profondamente contrario alla violenza, e che i terroristi non sono dei veri fedeli. Già il fatto che debbano ‘giustificarsi’ rende l’idea della paura, o sospetto, che più o meno si avverte nella vita di tutti i giorni”.
La storia di Francesca, romana trapiantata a Copenaghen, è anche una storia di integrazione, necessaria per mettere radici in una terra straniera e per sentirsi a casa nonostante le difficoltà. “Non ho avuto problemi a integrarmi – racconta – perché l’Italia è vista con simpatia, anche se – scherza – per anni mi hanno fatto battute su Berlusconi. Ho imparato la lingua in pochi mesi e ho iniziato a lavorare quasi subito”. Il suo impegno e i suoi risultati non sono passati inosservati neppure all’amministrazione della città: da cinque anni Francesca riceve il premio ‘Fuldendte måltid’ (Pasto Perfetto), che il comune di Copenaghen assegna alle cucine del settore pubblico e, inoltre, ha appena pubblicato un libro di cucina sposnsorizzato dall’Associazione nazionale danese per l’ecologia.
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