Di Fabio De Ponte
Roma, 12 feb. (LaPresse) – “L’Europa stava uscendo male” dalla vicenda della crisi ucraina, perché “non riuscivamo a produrre una scelta comune”. Per questo motivo lo scatto in avanti di Francia e Germania è stato provvidenziale: “Non avevamo scelta”, altrimenti avremmo “continuato a restare passivamente sulla linea americana”. E’ questo, secondo Sergio Romano, ex ambasciatore, storico ed esperto di politica internazionale, il quadro dentro il quale va analizzato l’accordo per il cessate il fuoco raggiunto a Minsk tra il presidente ucraino Petro Poroshenko, quello russo Vladimir Putin, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande.
“Non è il primo accordo per la cessazione delle ostilità – ricorda Romano in un colloquio con LaPresse – ma qui c’è qualcosa di più rispetto a quello di settembre, in particolare sulla concessione delle autonomie”. Quello che resta da capire, sottolinea, è se l’accordo terrà: “Questo – dice – è tutto da verificare”. “La cessazione delle ostilità decorre da domenica e le tregue sono fondate sulla frontiera di fatto creata sul campo di battaglia”, perciò, sottolinea, “il timore è che questi tre giorni vengano utilizzati da una parte e dell’altra per guadagnare terreno”.
A far sperare che l’accordo possa tenere, d’altra parte, però, c’è il fatto che a firmarlo sono state “quattro persone che hanno un interesse personale a non essere smentite dai fatti”. Per il momento, Merkel e Hollande sembrano aver vinto una scommessa: “Non avrebbero mai potuto avere alle spalle una Europa unita, perché le posizioni di Polonia, Repubbliche baltiche, ma anche per altro verso del Regno Unito” erano diverse. Perciò “non avrebbero potuto accreditarsi come rappresentanti dell’Europa”. Così “hanno sperato che il fatto compiuto avrebbe in qualche modo permesso loro di raggiungere il risultato”. E così per ora sembra essere stato. Se tiene, l’accordo consentirà di scongiurare una escalation: “Obama è riluttante sull’uso delle armi – sottolinea Romano – ma con questo Congresso non potrebbe escluderla dalle opzioni possibili”.
Insomma l’iniziativa di Francia e Germania ha rappresentato un passo positivo, ma certo siamo ancora lontani dal tipo di unità che l’Europa dovrebbe conquistare in politica estera.
Superato questo passaggio, la questione più urgente ora è quella greca. In quel caso però è difficile immaginare uno scatto analogo. Servirà probabilmente, più che una fuga in avanti, una intesa a metà strada. “Da un certo punto di vista – spiega Romano – non possiamo accettare la posizione del governo greco. O loro fanno un passo indietro o il dialogo non si apre”. D’altra parte, aggiunge, anche se “per il momento la posizione tedesca resterà abbastanza rigida”, alla fine “converrà a tutti trovare un accordo”, perché “se la Grecia lasciasse l’euro diventerebbe un precedente”. I mercati si convicerebbero che l’euro non è irreversibile e che altri potrebbero abbandonare la valuta comune. Al momento i membri del nuovo esecutivo greco “si stanno ancora comportando come se fossero in campagna elettorale. Bisogna dargli il tempo di capire che in questo modo non si va da nessuna parte. Le loro promesse elettorali, a partire dall’aumento del salario minimo, sono cose che comportano spese”.
Alla fine si troverà una intesa, secondo Romano, anche perché non si può sottovalutare un altro problema: “Abbiamo bisogno della Grecia anche per un’altra ragione. La frontiera meridionale dell’Europa è la Grecia, un tassello troppo importante” in questa fase di grande instabilità in Medioriente e Nord Africa.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata