St. Louis (Missouri, Usa), 25 ago. (LaPresse/AP) – C’erano migliaia di persone a St. Louis a dare l’ultimo saluto a Michael Brown, il 18enne afroamericano ucciso lo scorso 9 agosto a Ferguson da un poliziotto bianco mentre era disarmato. I funerali si sono tenuti nella chiesa Friendly Temple Missionary Baptist Church, che era stracolma di gente. Fra i partecipanti anche volti noti come Spike Lee, Puff Daddy, il rapper americano MC Hammer e il reverendo Jesse Jackson. Presenti i genitori di Trayvon Martin, il 17enne afroamericano ucciso il 26 febbraio del 2012 dal vigilante George Zimmerman a Sanford, in Florida, davanti a un negozio dove il ragazzino aveva comprato un pacco di caramelle. E il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inviato tre collaboratori della Casa Bianca.

ALMENO 4.500 I PRESENTI. La chiesa ha cominciato a riempirsi già un’ora prima dell’inizio della cerimonia e ha raggiunto la sua capienza massima, cioè 2.500 posti a sedere. Si sono riempite rapidamente anche le camere aggiuntive predisposte per l’occasione, con altre 2mila posti. E una folla di persone non è riuscita a entrare ed è rimasta fuori sfidando il caldo. Per oggi erano previste infatti temperature fino a 38 gradi.

MUSICA E CANTI PER RICORDARE ‘BIG MIKE’. Sulla bara, posta all’altare, c’era un cappellino della squadra di baseball St. Louis Cardinals. Accanto due grandi poster con foto di Michael Brown che indossava le cuffie, oltre che un’immagine di lui da bambino. Sui maxischermi è stata inoltre proiettata una foto di Brown che teneva stretto il diploma di scuola superiore. Il ragazzo avrebbe dovuto cominciare il tirocinio in una scuola tecnica due giorni dopo la sparatoria. Voleva diventare tecnico per i sistemi di aria condizionata e riscaldamento ed era anche un aspirante rapper, che si faceva chiamare ‘Big Mike’.

La cerimonia si è aperta con musica, canti e applausi. Molti dei presenti hanno danzato sul posto. Bisogna fare pressioni per cambiare e porre fine “alle uccisioni senza senso”, ha detto il cugino di Michael Brown, Eric Davis, intervenendo al funerale. “Ne abbiamo abbastanza di uccisioni senza senso”, ha aggiunto. Lo zio invece, Bernard Ewing, lo ha ricordato come “un ragazzo imponente, ma dall’animo gentile e dolce”.

LE PROTESTE A FERGUSON. L’uccisione di Michael Brown ha dato il via a giorni di proteste a Ferguson. A provocare indignazione sia l’omicidio, sia la gestione dei cortei fatta dalla polizia, che ha usato inizialmente il pugno duro intervenendo con agenti in tenuta antisommossa, lacrimogeni e fumogeni. Ad aggravare la situazione, inoltre, il fatto che nei primi giorni la polizia si era rifiutata di diffondere l’identità dell’agente che aveva sparato. La situazione ha cominciato a placarsi solo quando, dopo l’appello alla calma pronunciato da Barack Obama il 14 agosto, il governatore del Missouri Jay Nixon ha trasferito la gestione della sicurezza a Ferguson dalla polizia locale a quella dello Stato e ha inviato sul posto la Guardia nazionale.

Il padre del ragazzo, Michael Brown Sr., aveva chiesto ieri ai manifestanti di fermarsi e osservare oggi “un giorno di silenzio” in modo che la famiglia potesse raccogliersi nel dolore. “Tutto quello che voglio è pace”, ha detto parlando ieri davanti a centinaia di persone in un parco di St. Louis in occasione di un festival per promuovere la pace. E pare che l’appello del padre di Brown sia stato accolto. Al dipartimento della polizia di Ferguson, dove un piccolo gruppo di dimostranti ha continuato a manifestare nelle ultime due settimane, una scritta fatta a mano annunciava stamattina una “pausa per il funerale”.

L’OMICIDIO DI MICHAEL BROWN. Sulla morte di Michael Brown ci sono versioni discordanti. Secondo la polizia, l’agente si è imbattuto in Brown e un altro ragazzo e sarebbe sorta una lite perché l’agente avrebbe chiesto loro di spostarsi dalla strada; uno dei due avrebbe spinto il poliziotto nell’auto di pattuglia e poi lo avrebbe aggredito all’interno del veicolo litigando con lui per l’arma di servizio. Stando a questa versione, dentro l’auto sarebbe stato esploso almeno uno sparo; poi la lite si sarebbe trasferita in strada, dove Brown sarebbe stato raggiunto da diversi colpi di arma da fuoco.

Molto diversa la versione fornita dai testimoni. Fra questi Dorian Johnson, cioè il ragazzo che accompagnava Brown quando è avvenuta la sparatoria, ha raccontato che l’agente avrebbe ordinato a lui e Brown di spostarsi dalla strada; poi avrebbe aperto lo sportello così vicino a loro che lo sportello sarebbe rimbalzato indietro, il che pare abbia irritato il poliziotto. L’agente avrebbe allora afferrato il collo di Brown e poi provato a trascinarlo dentro l’auto, poi avrebbe brandito l’arma e infine sparato. Michael Brown, disarmato, avrebbe cominciato a correre e il poliziotto lo avrebbe inseguito, sparando diverse volte.

‘HANDS UP, DON’T SHOOT’. Sia Johnson, sia un altro testimone riferiscono che Brown era sulla strada con le mani alzate quando il poliziotto ha sparato ripetutamente contro di lui. Per questo, nel corso delle proteste, è stato spesso scandito lo slogan ‘Hans up, don’t shoot’, cioè ‘Mani in alto, non sparare’. Dopo la sparatoria è emerso che Michael Brown, la mattina del giorno in cui è stato ucciso, aveva compiuto una rapina rubando da un minimarket una scatola di sigari. E’ emerso però anche che l’agente Darren Wilson quando gli ha sparato non lo sapeva. L’autopsia ha mostrato che Brown è stato raggiunto da sei colpi di pistola.

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