Roma, 20 lug. (LaPresse) – Mancano pochi mesi al decimo anniversario della morte di Yasser Arafat, lo storico leader dei palestinesi, che si spense l’11 novembre 2004. Ripercorriamo di seguito i principali fatti avvenuti in questo decennio.

LA MORTE DI ARAFAT. Aveva dato vita nel 1996 all’Autorità nazionale palestinese, istituzione che avrebbe dovuto rappresentare l’embrione di uno Stato indipendente (nata a seguito dello storico accordo del 1993 con l’allora premier israeliano Yitzhak Rabin e la mediazione di Bill Clinton). Ma questo non fu sufficiente. Quell’accordo, che valse a lui, a Rabin e all’attuale presidente israeliano Shimon Peres, il premio Nobel per la pace, finì per non rappresentare mai quella svolta che tutti avevano creduto. Rabin fu ucciso nel 1994 da un colono ebreo estremista. Mentre Arafat, accusato di aver distratto ingenti fondi pubblici palestinesi per scopi personali (diverse inchieste internazionali furono condotte, con risultati opposti), negli ultimi anni della sua vita perse progressivamente consensi tra la popolazione. Fu confinato dagli israeliani a Ramallah. Non lasciò più la città fino a quando, il 29 ottobre 2004, non venne trasportato in gravi condizioni di salute a Parigi per essere ricoverato presso il reparto di ematologia dell’Hopital d’instruction des armées Percy, alla periferia della città. Lì morì pochi giorni dopo, l’11 novembre. Sulla sua morte resta il sospetto di avvelenamento, a causa del ritrovamento di tracce di polonio, un elemento radioattivo.

L’ASCESA DI ABU MAZEN. Alla sua morte, a prendere il posto di Arafat fu Mahmud Abbas, più conosciuto con la forma onorifica araba Abu Mazen. Tra i fondatori di Al Fatah, il partito di cui Arafat era stato leader, fu eletto nel gennaio 2005 nuovo presidente dell’Anp.

IL RITIRO DA GAZA. Ad agosto di quello stesso anno, su iniziativa del premier israeliano Ariel Sharon (controversa figura politica sulla quale pesava la strage di Sabra e Chatila, nonché la celebre passeggiata sulla Spianata delle moschee, che aveva provocato l’esplosione della seconda Intifada), Israele si ritirò da Gaza. Ne mantiene tuttora il controllo dei confini, dello spazio aereo e di quello marittimo.

LA VITTORIA ELETTORALE DI HAMAS. L’anno successivo, nel gennaio 2006, si tennero le elezioni legislative. Hamas le vinse col 44% dei voti, contro il 41% di Al Fatah. Stati Uniti ed Unione europea non accettarono il risultato elettorale e imposero sanzioni. Alla fine dell’anno Abu Mazen convocò elezioni anticipate. Il conflitto tra Hamas e Fatah crebbe fino a sfociare in violenze che provocarono la morte di decine di palestinesi. Dopo alterne vicende, Hamas mantenne il controllo della Striscia di Gaza e Al Fatah della Cisgiordania.

LE OPERAZIONI MILITARI ISRAELIANE. Nell’estate del 2006, venne rapito il soldato Ghilad Shalit. Scatta la guerra tra Israele e il Libano. L’operazione viene battezzata ‘Pioggia d’estate’, siamo nel giugno del 2006. Seguono poi diversi altri conflitti: ‘Nuvole d’autunno’ (novembre 2006), ‘Inverno caldo’ (febbraio 2008), ‘Piombo fuso’ (dicembre 2008), ‘Colonna di nuvola’ (novembre 2012) e ora ‘Margine protettivo’.

IL GOVERNO DI UNITA’ NAZIONALE. Nonostante le sanzioni, e forse anche grazie ad esse, Hamas mantiene il controllo della Striscia di Gaza e non perde consensi. Ad aprile di quest’anno la svolta: Hamas e Al Fatah si accordano per la formazione di un governo di unità nazionale. E’ l’attesa riconciliazione. Israele tenta di evitare che la comunità internazionale riconosca il nuovo esecutivo: “Invito tutti i soggetti responsabili della comunità internazionale a non precipitarsi a riconoscere il governo palestinese di cui fa parte Hamas e che si regge su Hamas”, dichiara il premier israeliano Benjamin Netanyahu subito dopo l’accordo. Cresce la tensione tra Tel Aviv e Gaza. Il 12 giugno tre ragazzi israeliani vengono sequestrati e uccisi. Netanyahu accusa Hamas del rapimento e lancia un’operazione che porta all’arresto di oltre trecento persone. Dopo settimane di ricerche, il 30 giugno, vengono ritrovati i corpi dei tre. A Gerusalemme, per rappresaglia, un ragazzo palestinese viene rapito e bruciato vivo. La tensione cresce ulteriormente. L’8 luglio scatta l’operazione ‘Margine protettivo’.

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