Dal nostro inviato Fabio De Ponte

Herat (Afghanistan), 17 feb. (LaPresse) – Una bottiglia bucata, un galleggiante con un pezzo di rame che scende man mano che l’acqua scorre via e un contatto che si chiude quando il liquido è finito. E’ uno dei modi con i quali si può realizzare un timer per uno Ied (Improvised Explosive Device), un ordigno artigianale. I militari italiani in Afghanistan si trovano continuamente ad avere a che fare con sistemi di questo tipo.

A volte si tratta di sistemi ancora più semplici, come un filo tirato lungo la strada, a volte più complessi, come un raggio infrarosso che attiva la detonazione al passaggio dell’auto. E anche quando l’attentato è condotto da un Kamikaze, persino un ripensamento dell’ultimo minuto può non bastare. C’è sempre qualcuno che sta osservando la situazione ed è in grado di attivare l’esplosione al posto del suicida, che in genere è all’oscuro di questo “sistema di sicurezza”.

Perciò al checkpoint tutto fa scattare l’allerta: una persona che si avvicina vestita di abiti oltre la sua misura, un’auto sbilanciata da un lato; o ancora un mezzo vecchio sul quale sono montate gomme nuove (spesso vengono cambiate per scongiurare il rischio che una gomma si fori proprio durante l’attentato).

E’ impossibile prevedere ogni possibile ordigno, anche perché cambiano in continuazione. E allora – spiegano alla base Camp Arena di Herat – occorre fare un lavoro diverso, e concentrarsi sulla filiera. Chi piazza materialmente l’ordigno non è mai solo. In genere alle spalle ha una rete composta da un finanziatore, un organizzatore, un addestratore, qualcuno che si occupa della logistica e un fabbricatore. Spesso c’è anche uno che filma gli attimi che seguono l’esplosione per studiare le reazioni dei militari. Il finanziatore poi è indispensabile per gli attentati suicidi, perché occorrono risorse per sostenere la famiglia di chi si immola per la causa.

La prevenzione più efficace perciò non è quella di trovare gli ordigni a terra prima che esplodano ma intercettare qualche anello della filiera. Per gli americani è lavoro di intelligence. Per gli italiani è soprattutto lavoro di Prt (Provincial Recostruction Team). E’ attraverso l’attività del Prt, con la costruzione di ospedali, scuole, ponti, strutture agricole, che si conquista la fiducia della popolazione. E così facendo si forza spesso anche qualche anello debole della catena. L’informazione sull’attentato filtra, e qualcuno avvisa i militari, convincendosi che sia sbagliato colpire chi ti sta offrendo aiuto. E’ già successo diverse volte. Qualcuno ha avvisato che era stato piazzato uno Ied. E chi non se la sente di fare la spia può sempre piazzare una serie di pietre rosse in prossimità dell’ordigno, un simbolo universalmente adottato per indicare una zona minata. Insomma, spiegano a Camp Arena, costruire una scuola in più può salvare la vita di un soldato.

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