Washington (Usa), 21 mag. (LaPresse/AP) – Una sottocommissione permanente del Senato Usa accusa Apple di elusione fiscale su almeno 74 miliardi di euro di profitto realizzato all’estero e chiede al ceo Tim Cook di spiegare i punti oscuri rilevati nell’indagine. Proprio per questo oggi il numero uno dell’azienda fondata da Steve Jobs è comparso per una testimonianza davanti al Congresso.
PAGATO FINO ALL’ULTIMO DOLLARO. “Paghiamo tutte le tasse che dobbiamo, ogni singolo dollaro. Non ricorriamo a espedienti fiscali”, ha detto Cook. Nelle dichiarazioni iniziali, il numero uno di Apple ha tenuto un tono difensivo e poi ha scandito le parole ricordando i 600mila posti di lavoro che l’azienda sostiene e sottolineando che la compagni di Cupertino rimane il principale contribuente statunitense. Cook ha quindi detto di auspicarsi una revisione del codice fiscale americano.
IL CASO. Secondo lo studio della sottocommissione permanente di indagine del Senato Usa, Apple ha utilizzato un gruppo di società affiliate con sede fuori dagli Usa in modo da pagare meno tasse. Le strategie utilizzate dall’azienda sono legali e molte altre multinazionali le usano per evitare la tassazione statunitense sui profitti all’estero. Tuttavia, afferma il rapporto pubblicato ieri dalla sottocommissione, la società ricorre a una tecnica unica, che ora solleva dubbi sulle lacune del sistema tributario negli Usa. Apple dal canto suo respinge le accuse, dicendo che “non usa trucchi” e ricordando che dà lavoro a decine di migliaia di americani e paga “un ammontare straordinario” di tasse negli Usa, non ultimi 6 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2012.
IL SISTEMA DI ELUSIONE. Secondo il rapporto del Senato Usa, Apple è riuscita a evitare di pagare almeno 3,5 miliardi di dollari di tasse federali nel 2011 e 9 miliardi nel 2012. Le tasse pagate negli Usa ammontano invece a 2,5 miliardi nel 2011 e 6 miliardi nel 2012. Stando alla ricostruzione effettuata nell’indagine, per pagare meno imposte negli Stati Uniti il colosso di Cupertino usa cinque compagnie con sede in Irlanda, tutte allo stesso indirizzo a Cork. Solo due delle cinque, però, hanno anche la residenza fiscale in Irlanda, quindi alle altre tre non è richiesto di pagare le tasse nel Paese. Secondo lo studio, viene sfruttata la differenza fra le leggi Usa e quelle irlandesi sulla residenza fiscale: in Irlanda una società deve essere gestita e controllata nel Paese stesso per avere la residenza fiscale, mentre per gli Stati Uniti un’azienda ha la residenza fiscale nel Paese in cui ha sede. Per il Senato, la strategia di Cupertino di non dichiarare la residenza fiscale in nessun Paese potrebbe rivelarsi un caso unico fra le società. In base ai dati forniti nello studio, Apple tiene all’estero circa 102 dei 145 miliardi di dollari di liquidità di cui è in possesso e una società sussidiaria irlandese che nel 2011 ha guadagnato 22 miliardi di dollari, ne ha pagati in tasse solo 10 milioni.
LA POSIZIONE DEL SENATO. Il presidente della sottocommissione, il senatore democratico Carl Levin, parlando in conferenza stampa ha usato parole dure a proposito di Apple. “Ha cercato il Santo Graal dell’elusione fiscale, ha creato entità offshore che detengono decine di miliardi di dollari, sostenendo di non avere la residenza fiscale da nessuna parte”, ha detto Levin. Anche il senatore repubblicano John McCain si è mostrato rigido. L’uso di queste tattiche da parte delle società ha l’effetto di far salire le tasse degli americani normali e far aumentare il debito federale, ha detto McCain, definendo Apple “tra gli elusori fiscali più grandi d’America”. Levin e McCain hanno intenzione di proporre delle riforme in modo da chiudere le scappatoie fiscali.
APPLE RESPINGE LE ACCUSE. Apple dal canto suo si difende. Già nelle anticipazioni della testimonianza di Cook, la società affermava di “rispettare appieno sia le leggi sia lo spirito delle leggi” e diceva di pagare “tutte le tasse richieste sia in Usa sia all’estero”. “Apple non usa trucchi per le tasse”, fa sapere la società di Cupertino, ricordando di pagare “un ammontare straordinario” di tasse negli Stati Uniti. Inoltre la società ha chiarito che, viste le aliquote in vigore negli Usa, non ha intenzione di rimpatriare i suoi profitti oltreoceano. Apple inoltre ribadisce il suo appoggio a una riforma fiscale che sostenga la crescita e spinga la competitività delle aziende americane.
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