Roma, 16 nov. (LaPresse) – “Senti? Questo è un F16. Adesso si abbassa e poi lancia”. Così Meri Calvelli, una cooperante del gruppo italiano bloccato a Gaza, racconta al telefono a LaPresse la situazione nella Striscia, avvicinando il cellullare alla finestra per far sentire il rombo di un aereo. “L’ultimo bombardamento – spiega – qui è stato circa venti minuti fa. Non c’è stato nessun ferito, hanno tirato in campo aperto”. “Gaza sembra una città spettrale – racconta -. E’ tutto fermo e immobile. Ogni tanto arriva una bomba. I droni girano in continuazione sulle nostre teste per controllare la situazione. Di solito il venerdì ci sono matrimoni, c’è movimento negli alberghi. Oggi non gira nessuno, è tutto deserto”. “Stamattina – continua – gli israeliani hanno fatto attacchi pesanti soprattutto nel Sud”.
Anche a Gaza la giornata è stata segnata da diversi bombardamenti, ma la paura è soprattutto per la notte: “Il grosso degli attacchi – spiega – inizia la sera e va avanti fino alla mattina presto”. Il problema in città, racconta, è soprattutto che gli israeliani puntano alle strutture governative – oggi hanno colpito il ministero degli Interni e quello degli Affari sociali – e si tratta di edifici che stanno in mezzo alle case. Cosa che moltiplica le possibilità di provocare morti tra i civili.
Per il momento, spiega Calvelli, da Gaza non sembrano esserci segni premonitori di un’invasione di terra. E’ vero che lungo il confine ci sono molti carri armati. Ma si tratta di una presenza costante a protezione della buffer zone, l’area cuscinetto realizzata dagli israeliani con la confisca di terre agricole palestinesi, che rappresenta una zona di separazione tra il territorio israeliano e quello della Striscia. I palestinesi, avendo poco terreno a disposizione, tuttora la coltivano, e sono bersagliati dai carri israeliani quotidianamente. “Se l’invasione fosse imminente – sottolinea Calvelli – i carri armati lungo il confine sarebbero molti di più”. Lungo la costa, poi, racconta, “si vedono le navi militari israeliane. L’altra sera hanno sparato una decina di missili verso gli edifici della marina militare di Hamas”. Però, sottolinea, anche “la presenza delle navi non è una grossa novità”.
Per quanto riguarda la situazione del gruppo di cooperanti, “le agenzie dell’Onu – dice Calvelli, confermando che il gruppo è composto da 8 persone, sei donne e due uomini – stanno cercando di capire quanto è possibile muoversi. Vogliamo andare al valico di Heretz per entrare in Israele”. “Non vogliamo tornare in Italia – racconta al telefono -. Noi viviamo e lavoriamo qua, anzi il venerdì spesso andiamo a Gerusalemme passando da Heretz. C’è molto allarmismo sulla nostra situazione. In realtà stiamo bene, stiamo aspettando che si ripristini una situazione normale per muoverci”. “Siamo all’Abu Ghalion”, continua, il palazzo che ospita appartamenti e uffici che fanno capo a molte organizzazioni internazionali. “A Gaza noi italiani siamo sempre stati qua”, spiega. “Siamo dentro i nostri appartamenti”.
Calvelli vive a Gaza da dieci anni, la conosce molto bene. Si occupa di progetti agricoli per la popolazione per conto di Acs (Associazione di cooperazione e solidarietà). “Ci occupiamo di programmi sulla sicurezza alimentare – spiega – di orti domestici per queste famiglie che non hanno più terra da coltivare”. Con l’istituzione della buffer zone i palestinesi hanno perso molte aree coltivabili. Da qui l’idea di aiutarli a mettere in piedi orti urbani che consentano loro di sfruttare tutte le superfici urbane disponibili.
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