Banche sotto i riflettori. Quindi entra in gioco uno strumento del sistema di regole dell’Ue. Ecco cos’è e cosa prevede il Danish compromise.
Le luci sono puntate sull’Opa lanciata da Banco Bpm su Anima. Sul progetto è arrivato il parere negativo della Bce.
Il Danish compromise è uno strumento previsto all’interno del quadro di vigilanza bancaria dell’Unione europea.
Varato nel 2012 e da inserire nel contesto delle norme previste nel regolamento Basilea III, il Danish compromise “nasce in seguito alla crisi dei debiti sovrani del 2011, nel corso della presidenza danese dell’Unione europea“, spiega a LaPresse Umberto Rorai, partner di Deloitte responsabile dei servizi di advisory per il settore finanziario e co-autore del paper ‘The Danish Compromise’ pubblicato lo scorso dicembre.
Lo strumento è finalizzato a “evitare il doppio conteggio delle esposizioni ai rischi da parte degli istituti di credito interessati a detenere partecipazioni in società assicurative“, prosegue Rorai.
Il Danish compromise prevede infatti un trattamento particolare per quanto riguarda gli investimenti azionari in società assicurative effettuati da gruppi bancari, definendo un regime favorevole per quanto concerne i requisiti patrimoniali di una banca, attraverso la riduzione dell’assorbimento di capitale regolamentare.
Il Danish compromise – osserva Rorai – è dunque “orientato a ‘spingere’ la costituzione di gruppi diversificati, dove all’attività bancaria si possa affiancare l’attività assicurativa, favorendone l’internalizzazione, senza significativi aggravi in termini di requisiti patrimoniali regolamentari”.
Lo strumento permette così – de facto – di favorire la creazione e l’espansione di conglomerati finanziari, rafforzando la stabilità del sistema finanziario internazionale. Permettendo – conclude Rorai – “la diversificazione dei rischi da parte degli istituti di credito, attraverso l’integrazione con le compagnie assicurative”.