Manovra, ok dall’aula della Camera con 312 sì e 146 no: ora passa al Senato

Slitta, su richiesta dell'opposizione, il ddl su referendum e iniziativa popolare. Da lunedì la legge di bilancio al Senato. Martedì Conte riferisce alle Camere

Via libera pressoché scontato, dopo la fiducia di venerdì sera, dall'aula della Camera alla legge di Bilancio, ma la settimana cruciale sarà la prossima. Dopo l'ok di Montecitorio, con 312 sì e 146 no, il provvedimento passa infatti all'esame del Senato, dove arriveranno le modifiche 'sostanziali' al testo.

"Tutto quello che arriva arriverà per forza al Senato, dopo è finita", ha confermato il ministro dell'Economia Giovanni Tria. Sui come e i quanto però c'è ancora da lavorare. Se l'emendamento della Lega su quota 100 è praticamente pronto, quello del M5s su reddito e pensioni di cittadinanza è ancora in fase di scrittura. E soprattutto manca ancora un accordo su come e se modificare i saldi della manovra per trovare un accordo con Bruxelles. Accordo che "è possibile", dice convinto Tria, ma "dipende da quello che si deciderà da una parte e dall'altra".

Una posizione simile a quella del sottosegretario della presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti: "Un punto di incontro si trova se si confrontano due ragionevolezze, se è ragionevole soltanto uno no. Io – aggiunge – sono fiducioso della ragionevolezza del governo, spero in quella della commissione". Bruxelles chiede un intervento non di facciata ma di contenuto su una manovra che così com'è ha già incassato la bocciatura della commissione e si avvia verso una certa procedura di infrazione.

In particolare, il nodo è sempre quello del deficit, che l'Ue vorrebbe vedere ricondotto dal 2,4% al 1,9, al massimo il 2% del Pil. Un punto su cui non c'è ancora un accordo all'interno delle forze di governo: se sia Lega che M5s mal digeriscono un eventuale passo indietro rispetto a quanto annunciato a gran voce, non mancano le voci dissonanti in entrambi gli schieramenti, mentre il ministro Tria ha più volte sollecitato i due leader a posizioni più prudenti e concilianti nel dialogo con l'Europa.

Una posizione che ha portato al rincorrersi di voci di malesseri e possibili decisioni, sempre prontamente smentite. Ma l'assenza di venerdì sera del titolare del Mef in aula non è passata inosservata, tanto che lui stesso, unico rappresentante del governo sabato pomeriggio alla Camera, ha assicurato di essere andato alla prima della Scala perché "sono le occasioni istituzionali per saggiare il clima, lì c'è il mondo produttivo imprenditoriale" in cui ha notato "un clima di attesa".

La decisione dunque va presa e deve essere univoca, "il governo è uno e ci sarà una sola posizione", assicura Giorgetti. E va presa prima che il premier Conte si presenti martedì – al mattino alla Camera, al pomeriggio al Senato – per riferire al Parlamento sul Consiglio europeo di giovedì e venerdì, e prima del probabile incontro con Jean-Claude Juncker più volte sollecitato da parte italiana in questi ultimi giorni, e che potrebbe tenersi mercoledì.

Lunedì dunque "ci sarà" ma "non è ancora segnato in agenda", spiega Giorgetti, un nuovo vertice in cui trovare "una decisione politica", anche alla luce del fatto che "nel frattempo arriveranno arriveranno i calcoli di ragioneria e Inps" sull'impatto e i costi di reddito e pensioni. Sarà l'occasione per tentare di sciogliere il nodo sul deficit e valutare di conseguenza l'invio di un nuovo documento programmatico di Bilancio a Bruxelles per scansare la procedura di infrazione. "Stiamo studiando tutte le opzioni, stiamo vedendo gli spazi finanziari e facendo le stime dettagliate, certo – osserva Tria – ci vuole l'accordo della politica".