Fondato nel 1987 a Shenzhen (Cina) da Ren Zhengfei, il colosso delle telecomunicazioni conta attività in più di 170 tra nazioni e regioni

Un colosso da oltre 180mila addetti, con attività in più di 170 tra nazioni e regioni, per ricavi pari a 92,55 miliardi di dollari e utili netti sopra i 7,2 miliardi nel 2017. Queste le dimensioni di Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni fondato nel 1987 a Shenzhen da Ren Zhengfei, ex ingegnere dell'Esercito Popolare di Liberazione e tuttora ceo della società. Una realtà completamente privata, al momento, il cui capitale è detenuto per intero dai dipendenti. Tra gli snodi chiave nella storia dell'azienda, il lancio delle attività di ricerca e sviluppo nel 1995, un ambito nel quale l'azienda è cresciuta negli anni fino a disporre di 14 tra istituti e centri. Ma anche il traguardo dei 552 milioni di euro di vendite sui mercati internazionali raggiunto nel 2002 e le varie joint venture strette negli anni con altre società di rilevanza globale, come Siemens, Symantec, 3Com e Global Marine.

L'anno scorso ha visto l'azienda, le cui sedi principali sorgono a Shenzhen e Guangdong, superare i 10 milioni di connessioni commerciali sul fronte dell'Internet of things e condurre test pre-commerciali sul 5G in più di 10 città in tutto il mondo. Sempre con riferimento ai dati del 2017, risultano inoltre 197 le aziende incluse nella lista Fortune Global 500 – di cui 45 appartenenti alla Fortune 100 – che hanno scelto Huawei come partner per la trasformazione digitale. Il 2018 ha però portato anche cattive notizie per la multinazionale, a partire dall'esclusione – insieme a Zte – dal processo di installazione della rete 5G in Australia. Una scelta motivata dal governo di Canberra con i potenziali rischi per la sicurezza che deriverebbero dal coinvolgimento in questa attività di aziende legate a governi stranieri. E le preoccupazioni in tema di sicurezza, secondo quanto riferito in novembre dal Wall Street Journal citando fonti vicine alla situazione, sarebbero state anche alla base della "campagna di sensibilizzazione" avviata dal governo statunitense, che avrebbe cercato di persuadere i fornitori di servizi wireless e internet di diversi paesi alleati a evitare le apparecchiature per le telecomunicazioni della società asiatica.

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