L'opinione dell'Unione Europea arriverà entro il 21 novembre. Nessuna marcia indietro da Salvini: "A Bruxelles sono grafomani, non ci muoviamo"
L'opinione della commissione Ue sull'aggiornamento del documento programmatico di bilancio arriverà solo la prossima settimana, il 21 novembre, ma la sensazione è che in Europa la lettera del governo non sia riuscita a placare ansie e preoccupazioni.
Per il vicepresidente dell'organismo di Bruxelles, Valdis Dombrovskis, la decisione di palazzo Chigi di non cambiare rotta rispetto a quanto annunciato su deficit e saldi è "controproducente" per l'economia del Paese, mentre Austria e Olanda si spingono oltre il commento e chiedono apertamente di aprire nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione. "Sono tre mesi che la invocano, non è una novità…", minimizza il vicepremier, Luigi Di Maio, mentre come spesso accade Matteo Salvini è tutt'altro che diplomatico: "Non ci rompano le scatole – taglia corto – Io non voglio lo scontro ma o da Bruxelles ci danno i soldi per mantenere il benessere economico e sociale o lo facciamo noi spendendo i nostri soldi".
La procedura di infrazione, che costerebbe all'Italia una multa salata, ha comunque tempi lunghi. Che porterebbero la questione direttamente nella campagna elettorale delle europee la prossima primavera. In ogni caso all'ipotesi – per ora solo ventilata – risponde ancora Salvini: "Se a Bruxelles proveranno a pensare di mettere delle sanzioni contro gli italiani hanno sbagliato. Stiamo dando fastidio a qualcuno dimostrando che si può cambiare. Non vogliamo uscire dall'eurozona, vogliamo difendere diritto, sicurezza, lavoro e salute degli italiani".
La situazione è delicatissima. Dopo le osservazioni della commissione di metà ottobre, il governo non ha cambiato rotta ma ha inserito alcune modifiche nel Dpb. In primis, l'assicurazione esplicita che il deficit il 2,4% "per il 2019 sarà considerato un limite invalicabile", con un monitoraggio costante dell'andamento della finanza pubblica e l'impegno ad assumere "tempestivamente, in caso di deviazione, le conseguenti iniziative correttive nel rispetto dei principi costituzionali". In secondo luogo si spinge il piede sull'acceleratore per recuperare risorse dalle privatizzazioni, con un piano privatizzazioni, "senza toccare i gioielli di famiglia" come ha assicurato il vicepremier Luigi Di Maio, con un piano che vale l'1% del Pil nel 2019 circa 18 miliardi di euro, e lo 0,3 nel successivo biennio, per un totale di 30 miliardi di euro, cioè più del doppio di quanto previsto nel Def. Una sorta di mission impossibile che, se si realizzasse, renderebbe la discesa del rapporto debito Pil ancora più marcata, pari a 0,3 punti quest'anno, 1,7 nel 2019, 1,9 nel 2020 e 1,4 nel 2021, passando così dal 131,2 per cento del 2017 al 126 del 2021. Ancora, il governo ha chiesto flessibilità alla Commissione per eventi eccezionali legati all'emergenza maltempo e a quella per il ponte di Genova, per una cifra pari allo 0,2% del Pil.
Una 'mossa' già eseguita dai precedenti governi, con Pier Carlo Padoan alla guida del Mef, che avevano fatto appello alle spese straordinarie per il terremoto e all'emergenza migranti nell'interlocuzione con Bruxelles sul deficit ottenendo spazi maggiori di manovra. E in effetti escludendo questo 0,2 dal calcolo del deficit la percentuale calerebbe dallo 2,4% al 2,2%, un valore sì alto ma più accettabile. Le risorse, si legge nella lettera, saranno destinate "a un piano straordinario di interventi tesi a contrastare il dissesto idrogeologico e per il solo 2019 anche a misure eccezionali volte alla messa in sicurezza della rete di collegamenti italiana". Il piano dell'attuale governo prevede circa un miliardo di euro per la ricostruzione del ponte Morandi e la messa in sicurezza delle infrastrutture autostradali e circa 3,5 miliardi per affrontare il dissesto idrogeologico nelle regioni colpite dall'emergenza maltempo.