Trump, il protezionismo visto da imprese e banche italiane

"Potrebbe avere un impatto sui prezzi delle importazioni e sugli investimenti", sostiene il sottosegretario Scalfarotto

"Un fatto nuovo, che non siamo in grado al 100% di prevedere". Che le tendenze protezionistiche mostrate dal neopresidente statunitense Donald Trump generino incertezza anche al livello delle istituzioni, lo ha confermato dal palco Ivan Scalfarotto, sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico,  segnalando in particolare come l'imposizione di dazi al di fuori del Wto potrebbe dare vita una spirale di rappresaglie. "Un protezionismo ingiustificato potrebbe avere un impatto sui prezzi delle importazioni, ma anche sugli investimenti", ha messo in guardia l'esponente del Pd. Ma il convegno 'Il mondo nel 2017', ospitato a Milano nel centro congressi della Fondazione Cariplo, è servito anche a tastare il polso dei protagonisti del panorama industriale e finanziario italiano rispetto a questo tema.  A prevalere è una preoccupazione di matrice soprattutto teorica, mitigata all'atto pratico dalla convinzione che difficilmente Trump potrà spingersi tanto in là quanto promesso in campagna elettorale.

"Sono misure che sono apparse scioccanti nella loro enunciazione. Bisognerà poi vedere quale sarà l'attuazione concreta", il commento di Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, che a margine dell'evento ha comunque ricordato come "la riduzione del commercio internazionale, a prima vista, non dovrebbe essere un grande vantaggio per gli Stati Uniti". Sulla stessa linea Alberto Bombassei, presidente di Brembo, che ha da poco inaugurato un nuovo stabilimento in Messico pensato per rifornire le fabbriche di auto presenti nel Paese centroamericano. "Se in qualche modo si dovesse spostare un po' di percentuale da un Paese all'altro, si tratterebbe di accelerare sugli altri stabilimenti che abbiamo negli Usa", la considerazione dell'imprenditore, che non ha mancato di sottolineare come la bilancia commerciale Usa-Messico penda a favore degli Stati Uniti. Motivo per cui a Trump una chiusura eccessiva non converrebbe. A guardare l'opportunità nascosta dietro al rischio protezionistico ha provato Giampiero Massolo presidente di Fincantieri. "Può darsi che il focus si sposti dalla finanza all'economia reale", ha rilevato il manager, rimarcando come l'attenzione di Trump per gli investimenti infrastrutturali e per le aziende di prodotto potrebbe "rifocalizzare l'attenzione sul prodotto concreto". Mentre Franco Debenedetti, all'ingresso del convegno invitava a tenere alta la soglia d'attenzione: "Teniamo le dita incrociate. Perché se il gioco scappa di mano può essere un disastro su scala mondiale".

La lettura macroeconomica della situazione, presentata da Lucia Tajoli, ricercatrice dell'Ispi e professoressa del Politecnico di Milano, sembra comunque dare ragione a chi pensa che l'impeto trumpiano dovrà scontrarsi con limiti oggettivi. "Conto sul fatto che pressioni economiche forti spingano a moderare il ricorso al protezionismo", ha spiegato Tajoli, sottolineando "la coscienza in primis da parte degli operatori economici delle forti interconnessioni esistenti" in un sistema commerciale in cui praticamente nessun paese al mondo è autosufficiente. Un altro dato da non trascurare, ha messo in evidenza la ricercatrice, saranno gli impatti di una politica di questo tipo sulla classe media. "I primi a pagare saranno gli elettori di Trump", la sua spiegazione, "perché il protezionismo è una tassa regressiva, non un modo di combattere le diseguaglianze".