Da un esercizio statistico riferito al decennio 2015-2025, emerge che le dinamiche demografiche comporteranno un miglioramento piuttosto modesto del grado di utilizzo dell'offerta di lavoro. Nel 2025 il tasso di occupazione resterà dunque prossimo a quello del 2010, che fu del 56,8%, scendendo al 56,6% rispetto all'56,3% del 2015, a meno che non intervengano politiche di sostegno alla domanda di beni e servizi e un ampliamento della base produttiva. E' quanto si legge in un approfondimento contenuto nel rapporto annuale dell'Istat. L'incremento della popolazione in età attiva registrato tra 2000 e 2015 ha contribuito ad aumentare l'occupazione nell'intero periodo (870 mila occupati in più), anche se la crescita è concentrata quasi esclusivamente negli anni 2000-2005. La componente femminile è la principale beneficiaria, la sua incidenza sul totale degli occupati passa infatti da 38,2 del 2000 a 41,8% del 2015, con la conseguente riduzione del divario di genere.
La dinamica occupazionale è inoltre influenzata dall'età, tanto che risulta negativa sotto i 40 anni e positiva in seguito. Grazie alla crescita dei livelli di scolarità, tra 2005 e 2015 gli occupati con al massimo la licenza media si riducono, mentre aumentano quelli diplomati e soprattutto i laureati. Il vantaggio occupazionale conquistato dalle generazioni più anziane con l'investimento in istruzione non si mantiene però tra i più giovani, più colpiti della crisi, e ciò ha indebolito il rapporto tra titolo di studio e occupazione soprattutto per i nati a partire dagli anni Settanta. Riguardo il ricambio occupazionale, i tassi di turnover femminili sono più ampi di quelli maschili e crescenti con il titolo di studio conseguito tra 2005 e 2010; nei cinque anni seguenti (2010-2015) il turnover cresce per i maschi laureati, si riduce per le laureate mentre rallenta per i diplomati.
RIPRESA PROSEGUE. "Gli indicatori anticipatori suggeriscono la prosecuzione di una graduale ripresa della fase ciclica internazionale nei primi mesi del 2016, nonostante l'ulteriore rallentamento delle economie emergenti. In particolare nei paesi avanzati l'attività economica dovrebbe continuare a beneficiare della ripresa della domanda interna e degli effetti di stimolo della politica monetaria".
INFLAZIONE. La ripresa dei consumi è apparsa fino a oggi insufficiente a indurre, da sola, una consistente risalita dell'inflazione, sulla quale ha molto pesato nel corso del 2015 il calo del prezzo del petrolio. E' quanto si legge nel rapporto annuale dell'Istat presentato oggi a Roma. Un ulteriore contributo deflazionistico, per quanto di minore entità, è arrivato dai prezzi dei beni energetici regolamentati (elettricità, gas e combustibili solidi). Al netto dei prodotti energetici, i prezzi al consumo hanno però mantenuto ritmi di crescita su base annua relativamente più sostenuti, seppure ben inferiori alla soglia del 2%, che corrisponde all'obiettivo di inflazione perseguito dalla Banca centrale europea. A tale dinamica hanno contribuito i prezzi dei beni alimentari (sia per la componente dei prodotti lavorati sia per quella dei non lavorati) ma anche i beni industriali (beni durevoli, tra cui automobili) e alcune tipologie di servizi (ricreativi, culturali, ricettivi). Tuttavia, nel primo trimestre 2016 è tornata ad aumentare la quota di prodotti che registrano un calo tendenziale dei prezzi (33,7% in marzo; 30% a dicembre 2015). Ancora una volta, tale dinamica appare guidata dal comparto dell'energia, dove si riscontrano quasi esclusivamente prezzi in marcata diminuzione; la quota di beni industriali non energetici e di servizi che mostrano aumenti dei prezzi è invece nettamente superiore a quella dei prezzi stabili o in diminuzione. Tali andamenti rendono plausibile, per la prima metà del 2016, uno scenario di dinamica inflazionistica ancora molto contenuta, contraddistinta dal succedersi di periodi di debole crescita tendenziale dei prezzi al consumo e di episodi deflazionistici.