Di Lorenzo Allegrini
Roma, 22 feb. (LaPresse) – All’industria e al sistema Italia serve un “piano shock” da 100 miliardi di euro per uscire da un “incubo” e superare un 2014 la cui prospettiva “non ha ancora risvolti positivi”. A dirlo è Alberto Baban, vice presidente di Confindustria e presidente Piccola Industria di viale dell’Astronomia, intervistato da LaPresse. Secondo Baban il governo Renzi può imprimere “una forte accelerazione” dopo che all’esecutivo Letta è “mancato il colpo di reni”. La ricetta che indica è quella di un taglio del cuneo fiscale, maggiori garanzie sul credito e soprattutto una logica di investimento “a lungo termine” anche della politica. Baban è alla guida di Tapì, che produce tappi e chiusure per il settore wine&spirits, azienda che ha realizzato nel 2013 un fatturato di circa 30 milioni di euro, con una crescita del 15% sull’anno precedente. Inoltre Baban è presidente di VeNetWork, società fondata nel 2011 e che aggrega, in qualità di soci, 47 imprenditori veneti, e ha già realizzato 4 acquisizioni crescendo fino a 60 dipendenti.
Presidente Baban, il Pil è tornato a salire dello 0,1% nel quarto trimestre del 2013 dopo oltre due anni di caduta. L’economia migliora?
“Innanzitutto credo relativamente alle statistiche, sono un uomo d’impresa e ho un termometro diverso, frequento il territorio. Quello del Pil è un calcolo molto complesso che dà un quadro generale, che anche con riflessi positivi può nascondere dati preoccupanti. Non mi sembra che gennaio sia partito con il verso giusto, meglio trovarsi preparati, non vorrei che arrivassero brutte sorprese”.
Quindi non basta la fine della recessione a renderla ottimista.
“Dobbiamo uscire da un incubo. Dall’inizio della recessione abbiamo perso il 9,7% del Pil. Bisogna fare attenzione a non trasformare un dato di ottimismo nella ricaduta in una situazione di conclamata difficoltà. Soprattutto l’edilizia, ma in generale il mercato interno versa ancora in durissime condizioni, la prospettiva per il 2014 non ha risvolti positivi. Teniamo in considerazione che una crescita annua inferiore ai 2 punti di Pil non è negativa ma è comunque insufficiente”.
Presidente Baban, il centro studi di Confindustria ha parlato di economia “quasi ferma”…
“C’è questa fortissima sproporzione prospettica tra chi ha agganciato il mercato estero, che è ancora brillante, e chi non ce l’ha fatta. Teniamo conto che la stragrande maggioranza delle imprese italiane è di struttura piccola e media, per loro la difficoltà di accesso è più alta”.
Pensa che il nuovo governo a guida Renzi possa dare qualcosa in più al mondo delle imprese?
“Lo abbiamo detto in modo inequivocabile: parliamo di capacità di governo. Io penso che sia possibile una forte accelerazione che dia positività e sia presupposto di una forte reazione. Diverse azioni in un periodo molto breve, questo mi aspetto. Gli interventi dei governi sono stati sempre troppo lenti, disallineati rispetto alle evoluzioni del mercato”.
Cosa ha sbagliato il governo Letta?
“Non ha capito la dimensione dei problemi e ha messo in campo modalità di azione insufficienti. Questo ha in un certo senso ingessato il sistema e impedito un colpo di reni. E’ mancata la vicinanza al Paese reale, si è guardato troppo alle statistiche, meno alla realtà. Troppo poco, serve un piano shock, organico, capace di muovere almeno 100 miliardi di euro, facendo ricorso anche alla leva finanziaria. Si intervenga nella logica dell’investimento a lungo termine, ad esempio con un piano per rimediare al dissesto idrogeologico del territorio”.
Presidente Baban, cosa serve in questo momento alla piccola e media industria?
“C’è bisogno di agire. Vorrei sottolineare la differenza tra reagire ed agire. Agire è creare una costruzione chiara di politica economica e industriale, reagire è quello che ha contraddistinto finora il Paese: si aspetta che succeda qualcosa per metterci poi una pezza. Non basta. Mi lasci dire che la disorganizzazione è stata risolta con più regole, portando a una burocrazia tale che è come un germe che rende il sistema immobile. Inoltre c’è bisogno di ridurre subito il cuneo fiscale e rivedere l’Irap, se possibile cancellarla. E’ una tassa che pesa sul lavoro e l’impresa è costretta a pagarla anche se è in perdita. Ancora, è necessario un credito di imposta su investimenti in ricerca e sviluppo, che non siano imbrigliati da limiti troppo stretti, e rimborsare ulteriori debiti della P.a. metterebbe a disposizione più liquidità per investimenti in un momento di difficoltà del credito. Da parte nostra siamo pronti a rinunciare a 34 miliardi di incentivi se le risorse venissero utilizzate meglio”.
Il credito è un grosso problema per le imprese. Le banche, che dovrebbero prestare, sono appesantite dai crediti deteriorati e l’Europa chiede di rafforzare il patrimonio.
“Bisogna intervenire con un fondo di garanzia statale più corposo. La Cdp si è mossa, qualcosa si è fatto con la ‘Nuova Sabatini’, ma noi pensiamo anche a strumenti come la cartolarizzazione per arrivare a garanzie più corpose”.
In questo momento in Italia, ma non solo, la disoccupazione è a livelli altissimi. Lei, Baban, crede che maggiore flessibilità in entrata e in uscita sia una soluzione?
“Assolutamente sì. Ritengo che dia la possibilità alle imprese di essere più elastiche e questo non significa che si lasciano a casa le persone. Le piccole e medie imprese sono una comunità. Per far funzionare il mercato del lavoro serve lavorare sui giovani ad alto potenziale, ricorrendo anche alla decontribuzione”.
Ma se la piccola industria è rimasta indietro avrà anche lei delle responsabilità.
“La responsabilità di molte pmi è stata quella di non accorgersi, nel 2007, che il mercato stava cambiando molto velocemente. Ora Confindustria sta incentivando una cultura delle reti e delle aggregazioni, ma un’inversione di tendenza così forte è difficile farla in poco tempo. Però voglio sottolineare che altrettante pmi hanno, invece, colto il cambiamento, hanno continuato ad investire, amano l’Italia e la loro passione a intraprendere non è mai venuta meno. E’ scesa la fiducia nel sistema”.
E nell’Europa ha fiducia?
“L’Europa ha ragione quando chiede disciplina, soprattutto a un Paese come il nostro. Ma quando questa si trasforma in austerità blocca ogni attività e rende l’economia inerte. I fondi Ue per la coesione, comunque, vanno nella direzione giusta. Non dimentichiamo però che entro fine 2015 l’Italia può attingere per altri 27 miliardi di euro, e se non useremo quei soldi non li vedremo più. Con Destinazione Italia sono stati sbloccati 6,2 miliardi, non basta”.