Houston (Texas, Usa), 6 mar. (LaPresse/AP) – Con la morte del presidente Hugo Chavez la produzione di petrolio in Venezuela potrebbe invertire la tendenza al declino avuta in almeno la metà dei suoi anni di governo. Le esportazioni sono crollate dai 3 milioni di barili al giorno del 2000 agli 1,7 milioni di barili del 2011. Chavez reinvistiva l’utile del petrolio del Venezuela per finanziare programmi sociali, ma non per sviluppare nuovi giacimenti o evitare che i vecchi si impoverissero. Il Paese è membro dell’Opec e, secondo le stime, dispone delle seconde più ampie riserve di greggio al mondo. La compagnia petrolifera nazionale Petroleos de Venezuela Sa, o PDVSA, non ha ancora fatto sapere se ci sarà un cambio di strategia nella produzione e nelle esportazioni da Caracas. Tuttavia Chavez aveva dato alle politiche aziendali una forte impronta che ora potrebbe cambiare anche radicalmente. Secondo Daniel Yergin, autore di un libro vincitore del premio Pulitzer sulla politica energetica globale, “senza il suo carisma e la sua forza di carattere, non è affatto chiaro né scontato che i suoi successori riescano a mantenere il sistema che ha creato”. Gli analisti ritengono tuttavia che la produzione di petrolio calerà ancora nel breve termine, perché ai dirigenti di PDVSA mancheranno gli ordini precisi sulla direzione da prendere. Tuttavia sembra molto probabile che, una volta in carica, un nuovo governo possa prendere in mano la situazione. Le raffinerie del Venezuela sono così deboli che Caracas è costretta a importare enormi quantità di carburante da Stati Uniti e da altri Paesi, ricavato da petrolio che viene esportato grezzo. I venezuelani pagano pochissimo la benzina e le sovvenzioni per calmierare i prezzi costano al governo 25 miliardi di dollari all’anno. In attesa di capire quali saranno i nuovi equilibri politici a Caracas, rimangono alla porta Russia, Cina e India, ovvero i Paesi esteri che hanno investito di più nell’industria petrolifera venezuelana.