Washington (Usa), 29 dic. (LaPresse/AP) – Dal primo gennaio sugli statunitensi potrebbe abbattersi in automatico la mannaia di un maxi-combinato di tagli indiscriminati alla spesa pubblica e aumenti di tasse che incideranno per oltre 600 miliardi di dollari nel 2013, se democratici e repubblicani non troveranno un accordo al Congresso sul bilancio. E che rischiano di trascinare in recessione gli Stati Uniti e l’Europa, compromettendo la timida ripresa globale.

COS’È IL FISCAL CLIFF?

TAGLI ALLA SPESA. Si tratta di un insieme di tagli alla spesa pubblica programmato per attivarsi in automatico dal prossimo primo gennaio, nello stesso giorno in cui scadranno una serie di benefici fiscali. A meno che il Congresso non raggiunga un accordo bipartisan, scatteranno automaticamente tagli lineari che comprendono 85 miliardi di dollari sottratti alla spesa federale, di cui 32 miliardi di fondi alla difesa e 53 miliardi tolti a istruzione, sanità, forze dell’ordine e altri programmi sociali, come sussidi di disoccupazione per circa 2,1 milioni di statunitensi. Il fiscal cliff è stato votato lo scorso anno a seguito di un accordo tra democratici e repubblicani, anche se nessuno dei due partiti si augura che scatti effettivamente. Infatti, se i repubblicani vogliono evitare i tagli al bilancio del Pentagono, i democratici intendono aggirare quelli alla spesa sociale. Il ‘precipizio fiscale’ è stato adottato per porre fine a una disputa sul deficit e il debito statunitensi. In particolare il Congresso voleva dimostrare che il Paese non sarebbe ma finito in default nonostante il taglio del rating da ‘AAA’ ad ‘AA+’ deciso da Standard & Poor’s nell’agosto del 2011. Il fiscal cliff, inoltre, è stato pensato come incentivo al Congresso per agire aggredendo il debito federale.

AUMENTI DI TASSE. Alla fine di quest’anno scade lo sconto sulle tasse sul reddito voluto dall’ex presidente Usa, George W. Bush, per il periodo 2001-2009. L’attuale inquilino democratico della Casa Bianca, Barack Obama, aveva deciso di prorogare in via temporanea il provvedimento. Senza un accordo sul bilancio che scongiuri il fiscal cliff i benefici fiscali terminerebbero da gennaio 2013. Obama vorrebbe mantenere le aliquote sul reddito ridotte per la classe media e cancellare gli sgravi sugli statunitensi più ricchi. I repubblicani si oppongono per tutte le fasce di reddito a un innalzamento delle tasse. Il primo gennaio sono previsti inoltre la fine delle agevolazioni su imposte e trattenute dagli stipendi (che comporteranno un aumento di circa il 2% sugli oneri salariali) e sui sussidi di disoccupazione, la riduzione del minimo imponibile per le tasse e l’inizio del giro di tasse derivate dalla riforma sanitaria di Obama. L’insieme dell’imposizione fiscale sarebbe pari al record del 1969 quando dalle tasse arrivarono ingenti finanziamenti per la guerra in Vietnam. Si calcola che la famiglia media americana dall’oggi al domani pagherà oltre 3.000 dollari di tasse in più all’anno.

COMBINATO. Tutto insieme il ‘fiscal cliff’ peserebbe per 671 miliardi di dollari sull’economia statunitense nel 2013.

QUALI CONSEGUENZE SE NON SI INTERVIENE?

Se il precipizio fiscale scattasse gli Stati Uniti aggredirebbero il proprio deficit federale di circa 1.100 miliardi di dollari con una riduzione del debito pubblico stimata in 560 miliardi di dollari. Tuttavia secondo la commissione bipartisan del Budget Office del Congresso, l’economia tornerebbe in recessione e la disoccupazione schizzerebbe al picco del 9% con oltre 2 milioni di statunitensi che perderebbero il lavoro. La classe media dovrebbe spenderebbe molto di più per far studiare i figli e per l’assistenza sanitaria, riducendo drasticamente i consumi. Con il fiscal cliff il prodotto interno lordo potrebbe cadere di circa 4 punti percentuali nel 2013, di cui 3 punti per l’aumento delle aliquote fiscali mentre un ulteriore punto in meno sarebbe dovuto ai tagli alla spesa. Gli Stati Uniti sono ancora la più grande economia globale e rischiano di causare gravi ripercussioni nel resto del mondo.

COME SI E’ SVILUPPATO IL DIBATTITO POLITICO?

A sciogliere il nodo fiscal cliff deve essere un accordo tra Obama e il Congresso in uscita, che rimane in carica, nonostante le elezioni, fino al giuramento che dà il via alla prossima legislatura all’inizio del nuovo anno. Il principale antagonista del presidente Usa appena riconfermato è stato lo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, che ha spinto per mantenere gli sgravi fiscali e chiesto di agire con un inasprimento dei tagli alla spesa pubblica. Alle spalle di Boehner c’è anche la spinta del movimento repubblicano, minoritario ma rumoroso, del Tea party, che fa della lotta contro la tassazione federale la propria ragione politica. Obama e i democratici, che inizialmente chiedevano un aumento delle tasse per i redditi superiori ai 250 mila dollari, per venire incontro ai repubblicani sarebbero ora pronti a raggiungere un’intesa sui 400 mila dollari. I repubblicani devono invece abbassare le loro pretese. Il cosiddetto ‘piano B’ di Boehner, il rilancio del Gop, che inizialmente avrebbe voluto estendere i tagli alle tasse per tutti i livelli di reddito, prevedeva di mantenere gli attuali sgravi fiscali alle famiglie che guadagnano meno di 1 milione di dollari l’anno. Obama convocando alla Casa Bianca i quattro leader del Congresso, i democratici Harry Reid e Nancy Pelosi e i repubblicani Mitch McConnell e Boehner, si è detto pronto a sfidare il Congresso portando al voto il suo piano. Tuttavia nelle ultime ore c’è ottimismo per un accordo su una proposta che potrebbe arrivare domani in Senato per essere votata al massimo lunedì. Le proposte di partenza sul bilancio erano molto distanti. I democratici avrebbero voluto riduzioni di spesa per 600 miliardi di dollari e aumenti di tasse per 1.400 miliardi. I repubblicani, invece, tagli per 1.400 miliardi e più tasse per 800 miliardi. I due partiti della scena statunistense hanno già fallito il compromesso su 98 miliardi di dollari di risparmi sul bilancio che avrebbe dovuto essere raggiunto, entro la fine del 2012, dal cosiddetto ‘Super comitato’ composto da 12 parlamentari, 6 democratici e 6 repubblicani.

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