La Corte d’Appello di Roma ha confermato la condanna a un anno e sei mesi per Francesco Bidognetti, boss del clan dei Casalesi, per le minacce rivolte nel 2008 durante il processo ‘Spartacus‘ a Napoli allo scrittore Roberto Saviano, alla giornalista Rosaria Capacchione e a un magistrato.
Le minacce di Bidognetti a Saviano e Capacchione
La vicenda si riferisce a un episodio avvenuto in aula, quando Bidognetti (imputato per associazione mafiosa), cercò di intimidire con dichiarazioni gravemente minacciose, aggravate dal metodo mafioso. Già nel maggio 2021 il tribunale di primo grado aveva riconosciuto la gravità del gesto, inquadrandolo come un tentativo di influenzare il processo attraverso l’intimidazione mafiosa.
Insieme a Bidognetti, fu condannato anche l’avvocato Michele Santonastaso, suo legale difensore, che aveva letto in aula le dichiarazioni minatorie: per lui la pena è di un anno e due mesi. Rosaria Capacchione, all’epoca cronista impegnata nel raccontare le attività dei clan casertani, è oggi simbolo del giornalismo d’inchiesta contro la criminalità organizzata.
Saviano in lacrime dopo condanna Bidognetti, ‘mi hanno rubato la vita’
“Mi hanno rubato la vita”. Le parole rotte dal pianto di Roberto Saviano risuonano nei corridoi della Corte d’Appello di Roma, poche ore dopo la lettura della sentenza che ha confermato le condanne per le minacce pronunciate contro di lui nel 2008, durante il processo d’Appello “Spartacus” contro il clan dei Casalesi.
Alla lettura del dispositivo, si è elevato un applauso in aula e Saviano, in lacrime, ha abbracciato il suo avvocato di parte civile, Antonio Nobile. “Non è una vittoria, non può esserlo” – ha dichiarato lo scrittore alla stampa – “ma oggi ho la prova che la camorra ha paura dell’informazione”. Le minacce risalgono al 2008, quando durante un’udienza a Napoli i legali dei boss, in una memoria firmata anche dagli imputati, indicarono esplicitamente Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione come responsabili morali delle loro condanne. “Ora è ufficiale: hanno messo nel mirino il giornalismo, non la politica – ha aggiunto Saviano – e lo hanno fatto alla luce del sole. Questa sentenza ci dice che chi racconta può fare male al potere criminale”.