Vasta operazione della polizia. Perquisiti 127 reclusi, anche per reati mafiosi

Vasta operazione nel carcere di Prato, coordinata dalla procura della città toscana, finalizzata a contrastare l’ingresso di telefoni cellulari e droga ai detenuti dei reparti Alta Sicurezza e Media Sicurezza, anche per reati mafiosi. Impegnati una sessantina di poliziotti in assetto antisommossa. Ne dà notizia, con un comunicato, la Procura di Prato, spiegando che dall’indagine, partita nel luglio dello scorso anno, sarebbero emerse “forme corruttive per quattro agenti penitenziari e anomali contatti tra altri quattro agenti e addetti alle pulizie. Perquisiti 127 detenuti, di cui 27 risultano indagati.

I cellulari in carcere

Tra i perquisiti, tutti i 111 detenuti del reparto di Alta Sicurezza dove, nonostante le limitazioni e dove sono ristretti criminali di tipo mafioso con ruoli di capo, questi avrebbero goduto di privilegi fra i quali la libertà di movimento nel reparto, disponibilità di schede telefoniche con intestatari fittizi, smartphone anche di ultima generazione collegati a internet, e smartwatch. Telefoni sarebbero entrati in carcere attraverso plichi postali, il personale in servizio nel carcere, compresi alcuni agenti della polizia penitenziaria in cambio di compensi di migliaia di euro, e con palloni e fionde. Una volta entrati, apparecchi telefonici e schede venivano occultati in doppi fondi delle pentole, in elettrodomestici, nei sanitari dei bagni, in buchi nei muri. Il fenomeno avrebbe riguardato anche il reparto di Media sicurezza.

La droga ai detenuti

La droga invece sarebbe entrata occultata nelle parti intime dei familiari in visita ai detenuti ed è stata individuata una centrale di rifornimento in città alla quale avevano accesso detenuti autorizzati a uscire dal carcere. Perquisizioni anche nei confronti di nove indagati e di un’altra persona nelle province di Prato, Napoli, Arezzo, Roma, Firenze e Pistoia con l’impiego di trenta uomini delle forze dell’ordine. 

Il procuratore: “Nel carcere cittadino massiccio tasso illegalità” 

 “La struttura carceraria pratese è caratterizzata, per un verso, da un apparente massiccio tasso di illegalità e dalla estrema difficoltà di assicurare la sicurezza passiva dei detenuti e, per altro verso, da un’insufficienza di personale per quanto riguarda il ruolo degli ispettori e dei sovraintendenti (ruoli caratterizzati, rispettivamente, da una carenza di organico del 47% e del 56,52%), dalla estrema difficoltà di avere interlocutori in seno alla struttura stante l’assenza e il continuo ricambio delle figure direttive, da molteplici disagi e malattie mentali di vari detenuti, da plurimi suicidi (nel secondo semestre del 2024 se ne sono registrati due) e dalla scarsità delle possibilità di lavoro, dati che inibiscono la funzione di prevenzione speciale e la rieducazione della pena, e la dignità stessa dei detenuti”. Lo sottolinea il procuratore capo di Prato Luca Tescaroli nel comunicato con il quale stamattina ha dato notizia dell’indagine a carico di alcuni agenti della polizia penitenziaria e detenuti che avrebbero fatto entrare e nel carcere schede telefoniche, telefoni cellulari, e droga.

Secondo quanto afferma Tescaroli, “tale situazione” del carcere pratese “ha reso e rende estremamente difficoltoso l’espletamento delle indagini, anche in considerazione dell’assenza di ambienti idonei a effettuare le attività intercettive all’insaputa dei detenuti e della costatata libertà di movimento dei detenuti”.

Con riferimento all’inchiesta che oggi è stata caratterizzata da perquisizioni e sequestri a carico degli indagati, Tescaroli evidenzia che “la massiva e diffusa disponibilità di telefonare senza conseguenze, con assoluta libertà, appare collegata a fenomeni corruttivi ipotizzati di agenti penitenziari a libro paga in fase di verifica, al mancato controllo per più ore nel corso della giornata in spregio ai propri doveri e alla tolleranza da parte di taluni appartenenti alla polizia penitenziaria e alla mancanza di idonea strumentazione di controllo, quali i laser scanner, dei pacchi della corrispondenza diretti ai detenuti, provenienti dall’esterno, che sono risultati non funzionare nel corso delle attività di indagine”. 

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