Mafia, Giovanni Brusca è libero. Azionò il telecomando della Strage di Capaci

Mafia, Giovanni Brusca è libero. Azionò il telecomando della Strage di Capaci
FILE – In this file photo taken on May 21, 1996, Giovanni Brusca is escorted by masked policemen outside Police H.Q. in Palermo, Sicily. Giovanni Brusca, 64, was released from prison this week after serving 25 years of a life term for some of Cosa Nostra’s most heinous crimes. They include the 1992 car bomb slaying of Italy’s leading anti-Mafia prosecutor and the 1996 kidnapping and murder of the 11-year-old son of a Mafia turncoat whose strangled body was dissolved in a vat of acid. Given the gravity of Brusca’s crimes, his early release repulsed many Italians and prompted calls, especially from the right, to reform laws that allow for reduced sentences for mafiosi who break the mobster “omerta,” or wall of silence, and cooperate with investigators. (AP Photo/Alessandro Fucarini)

L’ex boss aveva lasciato il carcere nel 2021 dopo 25 anni di detenzione e ha trascorso gli ultimi 4 anni in libertà vigilata

Il boss mafioso Giovanni Brusca da oggi è un uomo libero dopo 25 anni di carcere di cui gli ultimi quattro in libertà vigilata concessagli nel 2021. Il boss di San Giuseppe Iato che azionò il telecomando il 23 maggio del 1992 nella strage di Capaci ha finito di scontare il suo debito con la giustizia. Brusca dopo l’arresto decise di pentirsi. Questo gli ha permesso di ottenere un enorme sconto di pena. E da oggi è un uomo libero. 

Per il mandante dell’omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo è decaduta anche la misura della sorveglianza speciale e dell’obbligo di dimora nel comune segreto dove vive da quattro anni. Brusca dunque non ha più vincoli: può uscire e rientrare a qualsiasi ora e può trasferirsi. Brusca continua a godere della protezione per i collaboratori di giustizia. 

Autista Falcone: “Brusca libero? Sono sconcertato”

“Giovanni Brusca un uomo libero? Ne sono sconcertato“, ha detto a LaPresse Giuseppe Costanza, autista del giudice Giovanni Falcone e unico sopravvissuto alla strage di Capaci. “Non mi sarei aspettato una decisione di questo tipo. 25 anni in confronto a chi ha perso la vita non sono niente. Perché non lo si chiede a Falcone e Borsellino, a Montinaro, a Dicillo? Loro usciranno dopo 25 anni? Per queste persone non dovrebbe esserci una decurtazione di pena, dovrebbero passare il resto della vita in galera. Queste cosa non dovrebbe succedere”.

Vedova Montinaro: “Come non fosse successo nulla”

C’è sconcerto anche nelle parole di Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta del giudice Giovanni Falcone, morto anche lui nella strage di Capaci. “Il ritorno in libertà di Giovanni Brusca ci amareggia molto, la legge è legge, ci mancherebbe. Ma noi vittime di mafia non ci sentiamo rispettate. Non critico l’applicazione della legge però c’è un comprensibile sentimento di forte amarezza. Per noi è come non fosse accaduto nulla”. 

Maria Falcone: “Non posso nascondere dolore e amarezza”

“Come cittadina e come sorella, non posso nascondere il dolore e la profonda amarezza che questo momento inevitabilmente riapre. Ma come donna delle Istituzioni, sento anche il dovere di affermare con forza che questa è la legge. Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall’interno”. A dirlo è la professoressa Maria Falcone, sorella del giudice ucciso nella strage di Capaci insieme alla moglie Francesca Morvillo e ai tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, a proposito della liberazione definitiva dell’ex boss di Cosa nostra Giovanni Brusca.

“Brusca ha beneficiato di questa normativa, ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia che ha avuto un impatto significativo sulla lotta contro Cosa Nostra. Le sue confessioni hanno contribuito all’arresto di numerosi mafiosi e alla confisca di beni illeciti – prosegue Maria Falcone -. Tuttavia non si può ignorare che la sua collaborazione non è stata, su ogni fronte, pienamente esaustiva. In particolare, rimane tuttora un’area nebulosa quella riguardante i beni a lui riconducibili, per i quali la magistratura ha il dovere di continuare a indagare e chiarire ogni dubbio: colpire i mafiosi nei loro interessi economici è la pena più dura, privarli del denaro è ciò che li annienta davvero”.

“Il mio giudizio personale, come sorella di Giovanni Falcone, oggi rimane distinto da quello istituzionale. Brusca è autore di crimini orrendi, come Il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, che fu tenuto prigioniero per 779 giorni e poi strangolato e sciolto nell’acido e non trovo parole per esprimere il mio dolore e rabbia personale che altrettanto e ancora più grande sarà da chi ha subito questi orrori. Ma proprio per questo, oggi rinnovo il mio impegno, e quello della Fondazione che porta il nome di Giovanni, a continuare a lavorare per il rispetto della legge, fondamento della nostra democrazia”. 

Giovanni Brusca
Giovanni Brusca

Legale Brusca: “Cercherà lavoro per reinserirsi nella società”

“L’ho sentito stamattina per altre ragioni, lui era già libero dal 2021, oggi non è che cambi molto. È sempre alla ricerca di una attività lavorativa per il reinserimento sociale. Lo stava già facendo prima, stava cercando un lavoro, di svolgere una attività: cercherà di fare questo, come ha fatto in questi anni, sapendo che non è facile, ma proverà”. Lo ha detto a LaPresse l’avvocato Luigi Li Gotti, legale di Giovanni Brusca, ricordando che il pentito di mafia “fa sempre parte del programma di protezione che dovrà continuare a rispettare: è comunque un soggetto a rischio”.

Chi è Giovanni Brusca

Giovanni Brusca, oggi 68 anni, è il più noto pentito di Cosa Nostra. Capo del mandamento di San Giuseppe Jato è stato arrestato il 20 maggio 1996. Brusca ricoprì un ruolo fondamentale nella strage di Capaci in quanto fu l’uomo che spinse il tasto del radiocomando a distanza che fece esplodere il tritolo piazzato in un canale di scolo sotto l’autostrada facendo saltare in aria le auto di Giovanni Falcone e della sua scorta. Dopo il pentimento, la condanna gli è stata ridotta dall’ergastolo a 20 anni di reclusione.

Il rapimento e l’uccisione del piccolo Di Matteo 

Il nome di Giovanni Brusca è legato anche a uno degli omicidi di mafia tra i più efferati e crudeli, quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito a 12 anni nel 1993 e ucciso dopo 25 mesi di prigionia l’11 gennaio 1996: strangolato, il suo corpo fu sciolto nell’acido. A ordinare il rapimento del bambino, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo fu, tra gli altri, Messina Denaro, condannato il 16 gennaio 2012 come mandante del sequestro.

Il bambino viene rapito da un commando di uomini agli ordini di Brusca e di cui fa parte anche Gaspare Spatuzza (poi pentitosi e diventato collaboratore di giustizia) il pomeriggio del 23 novembre 1993, all’età di 12 anni, in un maneggio di Piana degli Albanesi, nel Trapanese. Il rapimento viene deciso per vendicarsi del padre, ex mafioso che sta parlando con gli investigatori sulla strage di Capaci e sulla morte dell’esattore Ignazio Salvo.

Per rapirlo, gli uomini di Cosa Nostra si travestono da poliziotti, dicendogli che lo avrebbero accompagnato nella località segreta dove è nascosto il padre. “Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi”, racconta Spatuzza. Il primo contatto con la famiglia del bambino è un biglietto del 1° dicembre con scritto ‘Tappaci la bocca’, tappati la bocca, rivolto chiaramente al padre. All’inizio Santino tentenna ma decide di non cedere. A due settimane dal rapimento la madre denuncia la scomparsa. Il piccolo viene spostato tra il Trapanese (terra di Messina Denaro) e l’Agrigentino fino al 1995 quando viene rinchiuso in un casolare nelle campagne di San Giuseppe Jato.

La firma sulla condanna a morte del piccolo Di Matteo arriva la sera dell’11 gennaio 1996 quando Brusca viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo. A occuparsi del delitto sono Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo: Giuseppe viene messo con ‘faccia al muro” e strangolato con una corda, come racconta anni dopo Chiodo. “Il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava”, dice ancora il mafioso al processo. Il piccolo viene poi svestito (‘si era urinato addosso’): il suo corpo viene immerso nell’acido nitrico perché la famiglia non abbia neanche un corpo da piangere.

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